Stefano Cappellini per “la Repubblica”
Nicola Zingaretti è molto preoccupato: «Serve - ha spiegato ieri a tutti i suoi interlocutori - che in queste ore ognuno si assuma le proprie responsabilità. Senza alleanze alle regionali, dopo il voto il governo rischia». Teme il segretario del Pd che, in mancanza di una svolta qui e ora, l'esecutivo guidato da Giuseppe Conte si esponga alla spallata dopo l'estate. C'è anche una data ufficiale su cui convergono i rischi di implosione della maggioranza giallorossa.
NICOLA ZINGARETTI LUIGI DI MAIO
Il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese ha annunciato che si appresta a varare il decreto che fisserà al 20 e 21 settembre le urne dell'election day: daranno il responso di sei Regioni chiamate a eleggere presidente e consiglio (Liguria, Veneto, Toscana, Marche, Campania e Puglia) e del referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari.
Il centrodestra ha trovato un accordo in tutte le Regioni. I giallorossi si preparano ad andare in ordine sparso: fin qui non c'è un solo territorio nel quale l'attuale maggioranza si presenti compatta in tutte le sue componenti, cioè da Leu a Italia viva. Il 21 settembre, prevede Zingaretti, il governo potrebbe trovarsi a subire due colpi in sequenza, una sconfitta alle Regionali propiziata anche da queste divisioni e un Parlamento di fatto delegittimato dal pronunciamento degli italiani. Una miscela che, insieme agli effetti della crisi causata dall'emergenza Covid, potrebbe risultare fatale per una maggioranza sempre più sfilacciata e litigiosa.
In mattinata il leader del Pd affida il suo sfogo pubblico a un post dai toni insolitamente duri per lui: «Da oggi - scrive su Facebook - le destre combattono unite in tutte le regioni, anche se spesso all'opposizione sono divise. Per fortuna con candidati deboli, contestati e già bocciati in passato dagli elettori. Invece tra le forze politiche unite a sostegno del governo Conte prevalgono i no, i ma, i se, i forse, le divisioni. Si può governare insieme quattro anni l'italia ma non una regione o un comune perché questo significherebbe "alleanza strategica". Ridicolo!».
Zingaretti cita anche Tafazzi, il celebre personaggio creato dal trio comico Aldo Giovanni e Giacomo che si trastullava nel flagello continuo delle parti intime. Nel denunciare il tafazzismo della maggioranza Zingaretti è allarmato più per l'anarchia regnante nel M5S che per gli smarcamenti di Matteo Renzi. Possono far danni alla coalizione anche questi, ovviamente. Soprattutto in Puglia, che è regione chiave per determinare l'esito della tornata elettorale (ieri Renzi ha offerto questa via d'uscita al Pd: "Togliete di mezzo Emiliano e torniamo a trattare»).
NICOLA ZINGARETTI GIORGIO GORI
Ma il problema è soprattutto la resistenza dei grillini a trasformare il patto di governo in alleanza politica vera e propria. Alleanza magari solo tattica, temporanea, ma strutturata e senza eccezioni. È su questa scommessa che Zingaretti ha accettato (controvoglia) lo scorso agosto di dar vita al governo con Di Maio. Se sfuma questo orizzonte, della legislatura resteranno solo macerie. E la stessa leadership Pd ne verrà travolta. Gori e, più defilato, Bonaccini hanno già lanciato una sfida per l'egemonia nel partito che passa dal superamento della stagione di accodi con il M5S. Zingaretti non ha mai creduto a una intesa di valori con il Movimento. Ha sempre pensato che il Pd potesse agganciarne la parte progressista, sull'asse che va da Conte a Fico, e disarmare l'ala nostalgica della formula gialloverde.
stefano bonaccini luigi di maio patto per l'export farnesina
Ma lo schema non può reggere se nel frattempo al Pd è inibita persino la modifica dei decreti sicurezza, bandiera del salvinismo che ancora sventola a un anno dalla fine del Conte uno, mentre alcune delle principali crisi industriali del Paese - Alitalia, Ilva e Autostrade - sono paralizzate da mesi anche a causa dai veti ideologici posti dal M5S. Sono questi dossier impaludati che gli avversari interni si preparano ad addebitare a Zingaretti, magari proprio dopo un passo falso nelle urne. Si lamenta un parlamentare molto vicino al segretario: «Non ci è sfuggito che alcuni esponenti intervenuti per placare lo scontro sulla linea del partito hanno detto: "Non è il momento". Che vuole dire? Che aspettano le regionali per tornare alla carica».
nicola zingaretti giuseppe conte
Per questo nel Pd c'è irritazione pure per le esitazioni di Conte, sia quelle nella definizione dell'agenda di governo (l'uscita sul taglio dell'Iva è stata considerata infelice e confusionale, i dem vogliono puntare tutto sulle taglio delle tasse sul lavoro) sia nel mancato esercizio perlomeno di una moral suasion sul M5S in tema di alleanze locali. Una lacuna giudicata anch' essa tafazziana, dato che sarebbe proprio Conte il primo a subire gli effetti della destabilizzazione se il conto delle regionali sarà in rosso. Una caduta del governo a settembre non porterebbe a elezioni. Aprirebbe la via, secondo Zingaretti, a soluzioni ponte che spazzerebbero via tutto l'investimento politico del Pd nel Conte bis e, non ultimo, sposterebbero la scelta del nuovo presidente della Repubblica su un asse diverso da quello della maggioranza in carica.
nicola zingaretti GIUSEPPE CONTE STEFANO BONACCINI zingaretti di maio Nicola Zingaretti Luigi Di Maio Giuseppe Conte NICOLA ZINGARETTI GIORGIO GORI