Federico Rampini per il “Corriere della Sera” - Estratti
IL CALOROSO BENVENUTO DI MOHAMMED BIN SALMAN A VLADIMIR PUTIN
America incostante e inaffidabile, Europa irrilevante, Cina onnipresente malgrado la sua crisi. È il mondo visto da Jeddah, primo porto sul Mar Rosso, dove concludo un viaggio in Arabia Saudita. Sono nell’occhio del ciclone. Da qui transitano navi prese di mira dai razzi degli Houthi. È visibile sulle banchine il calo dei container nel traffico «trans-shipment», trasbordo fra Mediterraneo ed Estremo Oriente via Suez.
Come sanno meteorologi e navigatori, «l’occhio del ciclone» in realtà è la zona tranquilla — provvisoriamente — mentre intorno infuria la tempesta. Così è l’Arabia Saudita. Le tensioni geopolitiche qui sono invisibili. Colpisce un clima di euforia, boom economico, afflusso di imprese straniere. Dopo una storia di monarchi anziani e malati, con la leadership di un principe 38enne l’Arabia sta svoltando. L’atmosfera che respiro qui mi ricorda — su scala ridotta — la Cina dove abitavo vent’anni fa: ottimismo, orgoglio e fiducia nel futuro, la convinzione che tutto è possibile.
Le novità più clamorose sono sul piano del costume e dei diritti. Mohammed bin Salman (MbS) ha imposto una laicizzazione accelerata, esautorando il clero wahabita reazionario e anti-occidentale.
Ora le donne si vestono come vogliono, anche se una parte cospicua continua a indossare il velo. Possono guidare, viaggiare da sole all’estero. Si laureano all’università più dei maschi. A Jeddah sono capitato in un festival musicale con concerti all’aperto: cose che un tempo erano vietate. Il turista viene corteggiato, i visti si ottengono online.
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Tutto questo spiega Hamas, gli Houthi, la regìa dell’Iran. Per la teocrazia degli ayatollah, per i suoi sicari in Medio Oriente, il successo dell’esperimento saudita è insopportabile. Se dovesse consolidarsi un miracolo economico accompagnato da laicizzazione e liberalizzazione dei costumi, lo smacco per i fondamentalisti sarebbe tremendo. MbS era vicino a realizzare un altro progetto, il riconoscimento dello Stato d’Israele.
ILLUSTRAZIONE SU BENJAMIN NETANYAHU E MOHAMMED BIN SALMAN
Per il prestigio dell’Arabia, custode dei luoghi sacri Mecca e Medina, quella svolta avrebbe un impatto enorme in tutto il mondo islamico. Va impedita ad ogni costo. Contro l’esperimento saudita il regime iraniano si gioca una partita esistenziale, che passa da Gaza e Yemen.
MbS ha condannato Hamas: per questa leadership saudita il jihadismo è il nemico, non Israele. Avendo imboccato la strada del progresso economico e sociale, l’Arabia può liberarsi dalla demonizzazione d’Israele, usata in questa parte del mondo dai leader corrotti e rapaci per distogliere l’attenzione dalle proprie malefatte. Ma la strage di Hamas il 7 ottobre ha reso più impervia la strada verso una soluzione basata su «due Stati», che rimane la dottrina di Riad. I leader sauditi si sono formati in Occidente però hanno su di noi una visione disincantata.
Ebrahim Raisi e Mohammed bin Salman
Giudicano la politica estera americana come un susseguirsi di contraddizioni, soprattutto quando governano i democratici: a Barack Obama imputano disastri come la guerra in Libia, l’innamoramento per le Primavere arabe che seminarono caos e fondamentalismo, il tentato accordo nucleare con l’Iran negoziato alle spalle di un alleato storico come l’Arabia. Biden entrò alla Casa Bianca promettendo di trattare Riad come «uno Stato-paria», per sanzionare l’uccisione di Khashoggi. Non si è mai sognato di trattare con altrettanta severità gli abusi della Cina contro i diritti umani. Biden ha riabilitato gli Houthi nel 2021, deprecando i raid militari sauditi contro di loro e depennandoli dalla lista delle organizzazione terroristiche; oggi bombarda le loro basi.
Queste incoerenze hanno spinto MbS a guardare altrove. È alleato con Putin nel mercato energetico in seno all’Opec+. Ha rafforzato i legami con Pechino, primo acquirente del petrolio.
MOHAMMED BIN SALMAN - JOE BIDEN - BENJAMIN NETANYAHU
La Cina m’insegue in tutto il viaggio. Visito mega-centrali solari dove tutto è «made in China». Il porto di Jeddah è un laboratorio di automazione, un gioiello di efficienza logistica, gru comandate a distanza caricano e scaricano container: i macchinari vengono dalla Repubblica Popolare. Visto da qui il concetto di un divorzio economico dalla Cina appare velleitario.
MbS, pur con la sua formazione da top manager americano, è convinto che il futuro sta a Oriente. Il futuro sta anche nella vicina Africa, dirimpettaia sul Mar Rosso, dove gli investimenti sauditi crescono a vista d’occhio. Ero a Riad durante il forum mondiale sulle risorse minerarie, con i sauditi impegnati a tessere relazioni africane cinesi indiane. Incontro molti italiani: nei cantieri, nelle università, nell’industria turistica nascente. Siamo considerati però irrilevanti come soggetto geopolitico: sempre indecisi tra forme di «estremismo umanitario» (rigidità arbitrarie su democrazia e diritti), «radicalismo ambientale» (slogan sull’abbandono immediato e totale delle energie fossili), e opportunismo politico.
Le nostre navi rischiano il peggio se un razzo Houthi va a segno, ma abbiamo bisogno dell’America per guidare un’operazione di autodifesa. I sauditi adorano l’Italia: chiamano Bocelli a tenere concerti o Dolce&Gabbana a organizzare sfilate tra i canyon desertici di Al Ula costellati di tesori archeologici; studiano il modello di Matera per un turismo sostenibile. La nostra politica estera li appassiona meno.
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