SE LA NOSTRA DEMOCRAZIA HA PAURA DI QUATTRO STRONZI (PUTINIANI O NO) SIAMO MESSI MALISSIMO - IL COPASIR AL LAVORO PER VERIFICARE L’ESISTENZA DI UN'EVENTUALE “MINACCIA IBRIDA” PER INFLUENZARE IL DIBATTITO PUBBLICO CON PROPAGANDA, DISINFORMAZIONE, FAKE NEWS - LE VERIFICHE DEGLI 007 SULLA RETE DEI “PUTINIANI D’ITALIA”, CIOE’ QUATTRO SFIGATI (E ORMAI SPUTTANATI) CHE SUONANO LA GRANCASSA A MOSCA: “STIAMO FACENDO GLI APPROFONDIMENTI SULLE FORME DI DISINFORMAZIONE E DI INGERENZA STRANIERE”

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Alessandra Arachi per il “Corriere della Sera”

 

mario draghi al copasir mario draghi al copasir

Il dossier sui «putiniani» d'Italia è destinato ad ingrossarsi. Dopo l'articolo del Corriere di ieri, è la vicepresidente del Copasir Federica Dieni (M5S) a confermare il lavoro che il comitato sta portando avanti per mettere a punto la rete degli italiani filo Putin composta di politici, economisti, freelance, opinionisti: «Stiamo facendo gli approfondimenti sulle forme di disinformazione e di ingerenza straniere. Siamo in attesa di alcune risposte».

 

GIOVANNI CARAVELLI GIOVANNI CARAVELLI

Un lavoro complesso quello del Copasir, un'indagine su tv, giornali, social network per fare chiarezza su un'eventuale minaccia «ibrida» russa che tenterebbe di influenzare il dibattito nei Paesi occidentali con propaganda, disinformazione, fake news.

 

L'indagine, avviata nei primi giorni del mese scorso, fa seguito all'approfondimento già avviato sul tema, anche con le audizioni del direttore dell'Aise Giovanni Caravelli, del direttore dell'Aisi Mario Parente, del presidente dell'Agcom Giacomo Lasorella e dell'ad della Rai Carlo Fuortes. Fuortes avrebbe ragionato sulla necessità di rivedere il format dei talk, soprattutto su temi complessi come quello della guerra, evitando le contrapposizioni urlate per lasciare più spazio agli approfondimenti.

 

MARIO PARENTE MARIO PARENTE

Si verificano le attività di chi avrebbe veicolato notizie false ai fini della propaganda filo russa. Il 25 aprile il senatore M5S Vito Petrocelli venne espulso dal Movimento 5 Stelle per un post su Twitter dove augurava con un'ironia sprezzante buona festa della Liberazione mettendo al posto della «zeta» normale la «Z» grande, simbolo delle armate di Putin. Era presidente della commissione Esteri del Senato Vito Petrocelli e non voleva saperne di dimettersi, nonostante gli ultimatum espliciti di Conte.

 

carlo fuortes foto di bacco carlo fuortes foto di bacco

Secondo quanto risulta al Copasir in quell'occasione gli attivisti filo Putin si sono mobilitati per una campagna di «mail-bombing» verso indirizzi di posta elettronica del Senato. Una campagna che il senatore Petrocelli non smentisce, ma la ridimensiona: «Erano mail contrarie alla mia rimozione dalla presidenza della commissione. Ma erano tutte mail con nome e cognome, qualcuna anche con la città», dice. Poi aggiunge: «Io non sono putiniano. Ormai nel nostro Paese c'è un neo maccartismo dilagante che continua a crescere e non si fermerà».

 

È cominciato il 4 maggio il lavoro del Copasir e ulteriori elementi potrebbero essere acquisiti nella missione che il comitato farà prima a Washington il 12 giugno e poi a Bruxelles. Tra i personaggi che avrebbero fatto parte della «rete» secondo gli apparati di sicurezza c'è Manlio Ducci, 84 anni, che ha scritto un libro sulla guerra che lo stesso Putin ha citato il 9 maggio per le celebrazioni del giorno della Vittoria. Anche Alessandro Orsini ha sposato le sue tesi e con lui Giorgio Bianchi un freelance che risulta essere «stato presente in territorio ucraino con finalità politiche di attivismo politico-propagandistico filorusso».

 

vito petrocelli 5 vito petrocelli 5

Bianchi non smentisce la sua presenza in Ucraina, ma respinge al mittente l'accusa di essere putiniano: «Oggi fare il proprio lavoro con onestà intellettuale e dire delle cose che non sono allineate ti fa finire in questa sorta di "lista di proscrizione"». Tra gli attivisti è citato anche l'economista Alberto Fazolo e lui dice di provare «compassione per i servizi d'intelligence costretti a fare certe cialtronate». C'è poi Maurizio Vezzosi per il quale il dossier è «un goffo tentativo di delegittimazione a ogni costo».

 

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