SENATO, LA PALUDE DI MATTEUCCIO - CON L’USCITA DEI POPOLARI E LA CREAZIONE DEL GRUPPO FITTIANO, IL GOVERNO CONTA SU UN MARGINE DI NOVE VOTI - E LA MAGGIORANZA DOVRÀ TENERE BOTTA SULLA SCUOLA E SUL DDL RIFORME

Va detto che, scorrendo i dati sulle ultime fiducie, la maggioranza abbia avuto sempre un margine molto più ampio. La fiducia sul decreto antiterrorismo, nell’aprile scorso, ha ottenuto 161 sì, 108 no e un astenuto. E il decreto che riforma le banche popolari ha ottenuto, il 24 marzo, 155 sì e 92 no… -

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Alessandro Trocino per il “Corriere della Sera”

 

Mario Mauro Mario Mauro

Un nuovo gruppo, quello dei fittiani, e l’ufficializzazione del passaggio di un partito, i Popolari per l’Italia, all’opposizione. Dopo il voto delle Regionali, a Palazzo Madama cambia la geografia del potere, anche se nei numeri, e quindi per la stabilità della maggioranza, non cambierà molto.

 

I popolari guidati da Mario Mauro escono formalmente dalla maggioranza e si schierano all’opposizione. In realtà dei tre senatori del gruppo, Mauro e Tito Di Maggio da tempo votavano in dissenso dalla maggioranza. Mentre Angela D’Onghia, sottosegretaria all’Istruzione, annuncia — insieme al collega alla Difesa e deputato Domenico Rossi — di non condividere la scelta di Mauro e di voler restare al suo posto. E dunque entrambi si dimettono dai Popolari per l’Italia e restano all’interno dei gruppi parlamentari di rispettiva appartenenza (Grandi autonomie e libertà al Senato per D’Onghia e Gruppo per l’Italia-Centro democratico alla Camera per Rossi).

raffaele fitto raffaele fitto

 

Alla base della decisione di Mauro, c’è il dissenso dall’azione di governo: «Riforme non condivise, condotte in modo improvvisato e approssimativo, con un’improvvida esaltazione del carattere monocolore dell’esecutivo. C’è una gestione politica che sta tenendo in stallo l’Italia, la sua economia e il suo bisogno di crescita». All’ultima votazione di fiducia sul decreto antiterrorismo, Mauro votò no, come ha fatto quasi sempre da giugno. Di Maggio non partecipò al voto e la D’Onghia, invece, votò sì.

 

In base ai nuovi assetti, la maggioranza dovrebbe contare su un margine di 9 voti oltre la maggioranza assoluta. Margine che dovrà essere verificato soprattutto in due passaggi delicati, la riforma della scuola e il ddl riforme. Ma scorrendo i dati sulle ultime fiducie si nota come la maggioranza abbia avuto sempre un margine molto più ampio. La fiducia sul decreto antiterrorismo, nell’aprile scorso, ha ottenuto 161 sì, 108 no e un astenuto. E il decreto che riforma le banche popolari ha ottenuto, il 24 marzo, 155 sì e 92 no.

 

COMMESSI SENATO COMMESSI SENATO

Anche per questo nel Pd si ostenta sicurezza, nonostante l’importanza delle sfide che attendono i senatori e nonostante la fronda della dissidenza interna, che andrà verificata alla prova dell’Aula, dopo il voto delle Regionali, non esaltante per il Partito democratico. Luigi Zanda, presidente dei senatori, cita un motto shakespeariano: «Molto rumore per nulla». E poi aggiunge: «La maggioranza al Senato non cambia. E si vedrà già la prossima settimana quando saranno calendarizzati provvedimenti importanti, come il codice degli appalti e la legge sull’omicidio stradale».

 

Anche Giorgio Tonini non ha dubbi: «Vorrei ricordare che da settimane Mauro e Di Maggio non votano con l’opposizione. E D’Onghia rimane. Quindi l’annuncio fatto dal senatore Mauro è una non notizia». Anche Mario Marcucci ironizza, citando una celebre battuta del film «I soliti ignoti»: «Mauro ha lasciato un governo che non ha mai sostenuto. Intanto i suoi “l’hanno rimasto solo”».

 

PIERO GRASSO IN AULA AL SENATO PIERO GRASSO IN AULA AL SENATO

Di Maggio, tra l’altro, aderisce al gruppo dei fittiani, di cui è stata data ieri notizia dell’ufficializzazione dal presidente del Senato Pietro Grasso. Al gruppo «Conservatori - Riformisti Italiani» aderiscono Cinzia Bonfrisco, che diventa capogruppo, Bruni, D’Ambrosio Lettieri, Di Maggio, Falanga, Liuzzi, Longo, Milo, Pagnoncelli, Perrone, Tarquinio e Zizza.

 

La stessa operazione è in corso anche alla Camera, dove però i numeri sono diversi: per mettere in piedi un gruppo servono almeno venti deputati (contro i dieci del Senato) e si stanno cercando le ultime adesioni al progetto.

 

 

 

 

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