SHOPPING COMPULSIVO? IL MARITO LA MOLLA E IL GIUDICE LE NEGA GLI ALIMENTI

La sentenza del tribunale di Roma fa epoca: la fine di un matrimonio è addebitabile anche allo shopping compulsivo! - Il marito, disperato, provvedeva a tutto e la moglie spendeva solo per sè - Morale: lui l’ha mollata e lei non avrà gli alimenti - La donna non è andata neanche in tribunale…

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Caterina Pasolini per "La Repubblica"

«Mamma tu compri soltanto profumi per te». Sembra di risentire la bambina protagonista di quella famosa canzone scritta tra le due guerre, la piccolina che con le lacrime agli occhi mormorava malata la sua disperazione all'arida genitrice.

TROPPO SHOPPINGTROPPO SHOPPING

Invece la storia è di oggi, sullo sfondo dell'aula del tribunale civile c'è un amore ormai finito, consumato dallo shopping e dall'indifferenza, sfociato in una sentenza di separazione tra una coppia di coniugi, sposati e con due figli, uno dei quali ancora teenager.

Una sentenza che lo scrive a chiare lettere e per la prima volta: l'addebito, la colpa per la fine del matrimonio, questa volta è di una signora che invece di pensare ai figli, alla famiglia, ha sempre e solo pensato, ma soprattutto speso, per sé sola. Che in tre anni non ha mai fatto un solo acquisto per i suoi ragazzi, la famiglia o la gestione di casa. E che quindi ora, per troppo shopping egoista, non avrà l'assegno di mantenimento.

Così hanno stabilito i giudici della prima sezione del tribunale di Roma basandosi sui riscontri bancari di tre anni portati dal coniuge esasperato dalla situazione. Da anni in cui lui provvedeva a tutto, mutuo, bollette, vestiti e cibo per i figli, mentre la signora pensava a tutt'altro. I soldi del suo stipendio di impiegata ma anche il bancomat in comune destinato agli acquisti per casa e supermercato, pare infatti che la donna li abbia sempre usati invece per comprare vestiti e reggiseni, belletti e profumi.

SHOPPING COMPULSIVOSHOPPING COMPULSIVO

Per i giuristi questo è il primo caso di separazione in cui l'addebito non viene dato per tradimento o violenze, ma per troppo shopping. «Questa volta i giudici hanno ritenuto che
sussiste violazione dell'articolo 143 del codice civile: quello che obbliga i coniugi a concorrere alle spese nell'interesse della famiglia», sottolinea Ettore Ganassi, presidente dell'associazione matrimonialisti italiani.

La signora infatti non contribuiva, alle spese di vita familiare, anzi. Prima la coppia aveva un conto unico, a furia di vederlo prosciugato il marito ha preferito averne due distinti. «Nell'estratto conto della signora, dal 2006 al 2009, risultano in modo quasi giornaliero spese per articoli di profumeria o di abbigliamento, o verosimilmente legate alle esigenze di una donna e non risultano affatto esborsi (ad esempio supermercato) legati alle esigenze di mantenimento della famiglia e di due figli», recita la sentenza.

SHOPPING TRA MOGLIE E MARITOSHOPPING TRA MOGLIE E MARITO

Un comportamento durato anni in cui il marito si è «sobbarcato da solo di ogni spesa del menage, un comportamento che ha finito per minare l'unione» della coppia. «Il mio cliente era veramente disperato. Quando gli affari andavano bene poteva anche accollarsi tutte le spese, mutuo di casa compreso, ma con la crisi... Lui per anni ha fatto fronte a tutto, ritrovandosi a pagare i debiti e fare prestiti visto che la moglie spendeva di tutto e di più per comprarsi sottovesti e creme», racconta l'avvocato Anna Claudia Salluzzo ancora stupita dal fatto che la signora non si sia neppure mai presentata in tribunale per controbattere alle accuse.

 

 

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