Giampaolo Pansa per “Libero quotidiano”
GIAMPAOLO PANSA LA REPUBBLICA DI BARBAPAPA
Non credo affatto che Eugenio Scalfari smetterà di scrivere su Repubblica perché non si troverebbe in sintonia con il nuovo direttore, Mario Calabresi. Al contrario di quanto molti ritengono, rimarrà al giornale dell' ingegner Carlo De Benedetti. E continuerà a fare quello che fa dal 1996, quando lasciò a Ezio Mauro il trono di direttore. Rimarrà il fondatore, il pontefice laico da venerare, l' editorialista pronto a sfornare prediche sui temi più disparati, insomma l' Uomo immagine del grande giornale-partito.
giampaolo pansa - copyright Pizzi
Posso sbagliarmi, come è ovvio quando si maneggia una materia delicatissima: il carattere e gli umori di un signore che ha passato la barriera dei novanta. Ma adesso proverò a spiegare perché la vedo così.
Ho lavorato accanto a Scalfari dall' autunno del 1977 sino alla primavera del 1991, dunque per un tempo lunghissimo, quattordici anni. Con Gianni Rocca sono stato il suo vice. Ci vedevamo tutti i santi giorni, per molte ore. E sono felice di quell' esperienza. Quando ho lasciato Repubblica per andare all' Espresso di Claudio Rinaldi, la nostra vita in comune si è interrotta. Da allora ho visto Eugenio un paio di volte. La prima ai funerali di Rocca. La seconda per caso e da lontano.
carlo de benedetti eugenio scalfari
Eravamo nell' autunno del 2012 e stavo preparando un libro sulla storia di Repubblica, poi stampato dalla Rizzoli. Mi trovavo a Roma per ascoltare un testimone delle vicende che intendevo narrare. Stavo avviandomi dal Senato verso piazza Montecitorio quando ho notato Eugenio che si dirigeva a piedi verso casa. Mi è parso un vecchio signore meraviglioso a vedersi: alto, la figura snella e ben eretta, elegante, con l' aria di chi è sicuro di sé e del proprio carisma.
Camminava a passi lenti, impugnando un bastone prezioso che appariva uno scettro più che un sostegno.
Confesso di aver provato qualche istante di commozione mista al rimpianto. È stato quando ho notato la sua barba, candida e ben curata. In quel momento mi sono rammentato che a Repubblica lo chiamavamo Barbapapà, come un personaggio dei fumetti. In quel soprannome c' era molto rispetto e anche ammirazione.
Pure nel nostro mestiere, resistere all' avanzata del tempo conservando intatta la lucidità e la capacità di parlare a un pubblico vasto di lettori, è una qualità e una fortuna che ben pochi possiedono. Ecco la dote numero uno di Eugenio: non rifugiarsi nella vita privata, ma rimanere in piedi di fronte ad amici e avversari, senza timore di nessuno.
Scalfari ci è riuscito e ci riesce perché la sorte gli ha permesso di serbare intatto il carattere che ha sempre messo in mostra. Un primo della classe geniale, testardo, con un' autostima enorme, convinto di avere sempre ragione al punto di non sopportare chi si azzarda a mettere in dubbio la sua assoluta perspicacia. E quando commette un errore, e sbaglia una previsione, come è accaduto in più di un caso, rimuove tutto senza spiegare nulla.
ezio mauro luigi vicinanza carlo de benedetti
La stessa marmorea noncuranza mostra nel piegare i fatti, e la loro memoria, a vantaggio delle sue opinioni. Sino al punto di alterare la verità.
Gli capita di farlo spesso, confidando nella distrazione di chi lo ascolta quando lo vede in tivù o legge il suo vangelo domenicale su Repubblica.
Volete un esempio di questa sicurezza rocciosa? Ne citerò uno solo, minimo, ma significativo. Riguarda la storia del quotidiano che ha fondato e l' arrivo del successore al vertice del giornale, Ezio Mauro, insediato nel 1996. In una delle sue prediche domenicali, il 26 agosto 2012, Barbapapà scrisse: «Io e Ezio ci siamo scelti reciprocamente diciassette anni fa ed è stata una scelta della vita che quotidianamente si rinnova».
In realtà era andata nel modo opposto. Scalfari non voleva Mauro come successore. Gli sembrava troppo piemontardo, rigido, muscoloso. Ottimo per fare l' inviato o il corrispondente a Mosca e infatti l' aveva assunto per questi incarichi.
NAPOLITANO MARCHIONNE ELKANN CALABRESI
Ma il direttore no. Eugenio ne temeva il carattere e la naturale vocazione al comando assoluto. Tentò di convincere l' Ingegnere a scegliere Paolo Mieli e, in subordine, Bernardo Valli che riteneva di poter governare con facilità. Insomma, Scalfari voleva continuare a fare e disfare in Largo Fochetti come sempre.
Adesso la storia si ripete.
Nel piccolo mondo dei giornali si sostiene che la scelta di Mario Calabresi sia avvenuta senza consultare Scalfari o addirittura contro il suo parere. E che il sentirsi escluso dalla decisione abbia fatto infuriare Barbapapà. Accadde lo stesso nel 1991 quando De Benedetti mandò Claudio Rinaldi a dirigere l' Espresso.
marchionne napolitano calabresi
Eugenio non amava Claudio: lo riteneva un lupo solitario, estraneo al proprio mondo. L' Ingegnere lo sapeva e per questo mantenne segreta la decisione, compresa quella di portare anche me in via Po come condirettore di Rinaldi.
Ritornando al Grande Cambio nei giornaloni italici, non credo affatto che Barbapapà rifiuti di scrivere per Calabresi. È vero che Scalfari era stato tra quelli che avevano firmato l' infame manifesto contro il commissario Luigi Calabresi, accusandolo a torto di aver torturato e poi ucciso l' anarchico Giuseppe Pinelli. Ma è una storia vecchia di quarantacinque anni. E del resto Barbapapà è stato uno dei pochissimi a dichiararsi pentito di quel gesto orrendo.
Del resto, per Scalfari sarebbe un suicidio smettere di scrivere per il giornale che ha fondato. È un signore nato nel 1924 e in aprile ha compiuto 91 anni. Io ne ho undici meno di lui, e conosco il peso di un vecchio detto che recita: tutto ciò che siamo stati è quello che abbiamo scritto. Rinunciare alla predica domenicale lo porterebbe nella tomba.
Ogni tanto mi capita di vederlo nel programma televisivo di Lilli Gruber sulla Sette. Eugenio non ha più l' aspetto di un settantenne.
Ma non le manda a dire. E le dice con chiarezza. Pure chi non è d' accordo con lui, lo ascolta con il rispetto che si deve a un attore tra i primi della tragicommedia italiana.
renzi marchionne al gp di monza
Il vero problema di Scalfari è riassunto in una domanda: pensa di essere ancora in sintonia con il suo pubblico?
RENZI MARCHIONNE ALLA FABBRICA CHRYSLER
Nel giugno 2012, mentre si apriva a Bologna la maxi festa celebrativa del giornale, alla richiesta di definire le diverse generazioni di lettori repubblicani, Barbapapà aveva offerto una risposta di quattro parole: «Sono la sinistra italiana di oggi». Era uno slogan che oggi non ha più senso. Nel volgere di soli tre anni, la sinistra italiana ha scelto la strada della camposanto. È frantumata in quattro o cinque clan. E si trova sotto la sferza di un premier, il gelido pigliatutto Matteo Renzi, un ras che di sinistra non è mai stato e mai lo sarà.
Renzi non piace affatto a Barbabapà. E lo dice per l' ennesima volta nell' editoriale di ieri, domenica 29 novembre. Una predica che spazia da papa Bergoglio alle miserie della Casta politica. Resta da vedere come sarà la coabitazione con Mario Calabresi e con i suoi sponsor, il premier onnivoro e il boss dei boss, Sergio Marchionne. Sta tutta qui la vera incognita del terzo cambio a Repubblica.