DALLE STELLE ALLE SBARRE: L’INCUBO DI JONELLA LIGRESTI CHE HA SCOPERTO IL CARCERE

Dai lussuosi resort della Sardegna, Jonella Ligresti finendo in galera si accorge dell’esistenza di un altro mondo - “Si può fare la doccia solo una volta al giorno. Un’ora d’aria è troppo poco per sopportare le sbarre. Vedo cose disumane” - È un’esperienza che in Italia farebbe bene a molti…

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Mas. Peg. per "La Stampa"

JONELLA LIGRESTI IN PROCURA A TORINOJONELLA LIGRESTI IN PROCURA A TORINO

Le mani sottili, le unghie curate, i capelli raccolti dietro la nuca. Allunga la mano attraverso le sbarre e saluta il visitatore inatteso con una stretta energica. «Piacere sono Jonella Ligresti». Sezione femminile delle Vallette, metà pomeriggio. A incontrarla, ieri, è un consigliere regionale che per caso si è trovato a tu per tu con la figlia dell'ex patron di Fonsai, arrestata una settimana fa mentre era in Sardegna con la famiglia.

«Non merito il carcere. Mi hanno strappato dalle braccia dei mie figli. Non mi sarei mai aspettata di finire qui dentro. Anche se sui giornali mi hanno già dipinta come una delinquente, credo fortemente nella giustizia e avrò modo di dimostrare che sono estranea alle accuse».

jonella e salvatore ligrestijonella e salvatore ligresti

Sembra passato un secolo dalle feste del Tanka Village, il resort di famiglia, adagiato sulle acque cristalline della Sardegna. La cella delle vallette è uno spazio di 8 metri quadrati da condividere con un'altra detenuta. Il letto a castello, un bagno nell'angolo, un tavolino che sembra un francobollo. Si sta in piedi, si sogna a occhi aperti guardando una finestra dai vetri opachi e si passa la giornata a barattare i propri tormenti con le vite degli altri.

jonella-ligrestijonella-ligresti

«Si può fare la doccia soltanto una volta al giorno. Un'ora d'aria è troppo poco per sopportare le sbarre. Qui, tutte le detenute mi danno una mano. Mi aiutano. Anche tra il personale ho incontrato molta umanità. A Torino come a Cagliari, sebbene là la cella fosse un po' più grande e accogliente. Anche là ero con un'altra detenuta, ma lo spazio era di cinque metri per cinque».

Vorrebbe urlare al mondo la sua rabbia ma non può. «Devo stare in silenzio per adesso. Devo avere pazienza. Ci sono le indagini...». Appoggiata alle sbarre, non sembra più la signora Ligresti dei Falcon aziendali, delle sei autovetture messe a disposizione da Fosai e Premafin, amante più dei cavalli purosangue che dell'alta finanza. A quello ci pensava soprattutto papà. «Neanche mio padre meritava di essere trattato così. Ha 81 anni. È un uomo anziano».

JONELLA LIGRESTI resizeJONELLA LIGRESTI resize

Adesso sembra soprattutto una mamma ferita che parla dei figli e si dispera. Una figlia di 20 anni e un bimbo di 11. «Sono loro a sopportare tutto il peso di questa situazione. Loro non ne possono nulla. Stanno soffrendo. Mio figlio, da quando mi hanno arrestata, non fa altro che piangere». E mentre lo racconta si commuove, le parole si spezzano come schiacciate dal peso della sofferenza.

Salvatore e Jonella LigrestiSalvatore e Jonella Ligresti

L'altro ieri ha incontrato Ludovica, la figlia, in carcere dopo averla incrociata nel corridoio del tribunale durante una pausa dell'interrogatorio. La ragazza si è gettata tra le sue braccia urlando «mamma, mamma ti voglio bene», cogliendo di sorpresa un po' tutti in Procura, compresi gli agenti della penitenziaria e i carabinieri. Un colpo di teatro, forse, ma che racconta di una famiglia che non si arrende, nonostante le accuse e le manette. «Non vedo l'ora di uscire da qui per poterli riabbracciare» dice Jonella, con tono quasi combattivo.

Ed è così convinta di poter uscire a breve e di tornare a combattere da persona libera che promette anche di «voler fare qualcosa per le altre detenute che ha incontrato in carcere». Come la sua compagna di cella, una signora di mezza età, che le siede accanto. Dietro le sbarre le distanze si azzerano. «Devo fare qualcosa per le condizioni in carcere. Ho visto cose disumane. Stando fuori non sai com'è qui dentro. Nemmeno te lo puoi immaginare».

JONELLA LIGRESTIJONELLA LIGRESTI

La prigione, non sarebbe la prima volta, è come una catarsi. O forse sono soltanto meteore sentimentali, le sue, che aiutano a sopravvivere chi ha sempre visto il resto del mondo dall'alto ignorando l'esistenza degli abissi. «Appena esco mi occuperò della mia compagna di cella» dice Jonella, dedicandole uno sguardo. La donna si commuove ascoltando le sue parole. E quasi con devozione, si avvicina alla «signora Ligresti» baciandole un braccio.

Emanuele Erbetta e Jonella LigrestiEmanuele Erbetta e Jonella Ligresti

Poi, di scatto, Jonella si gira alzando il dito verso l'altro lato della sezione e mostra una cella di fronte. «Là dentro dice - c'è una donna di colore che è stata arrestata per aver portato il figlio di tre anni all'asilo. Era agli arresti domiciliari e non poteva uscire. Il figlio ha insistito che lei lo accompagnasse a scuola così ha violato gli obblighi. E l'hanno accusata di evasione. Anche lei è una mamma che soffre».

 

 

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