Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera”
Ormai è muro contro muro. Sono soltanto tre le Ong che hanno firmato il «codice di comportamento» e tra loro non c'è Medici senza frontiere che aveva invece annunciato l'accordo. «Sono fuori dal sistema e ci saranno conseguenze», è la reazione del ministro Marco Minniti affidata a una nota ufficiale.
La prima potrebbe essere quella di ordinare controlli sulle certificazioni di tutte le navi utilizzate dalle organizzazioni e sulla composizione degli equipaggi, così come prevede il regolamento ma impone anche la legge quando ci siano rischi per la sicurezza. E alla vigilia del dibattito in Parlamento filtra il testo della lettera trasmessa al premier Paolo Gentiloni dal capo del governo Fayez Al Sarraj per chiedere «il sostegno tecnico navale per fornire aiuto agli organi navali libici».
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E per confermare che «la sede sarà il porto di Tripoli». Dicono sì al regolamento Moas e Save the Children mentre Proactiva Open Arms invia una lettera «annunciando la volontà di sottoscrivere l'accordo», come precisa il comunicato del Viminale. Rifiuta Msf che «prende atto dell'esemplare ruolo svolto dall'Italia», ma spiega che il codice va contro i propri principi «anche se si adeguerà ad alcune regole».
Disertano invece la riunione al ministero dell'Interno Sea Watch, Sea Eye, Sos Mediterranee, Rettet. Sono soprattutto due le regole ritenute «inaccettabili»: il divieto di trasbordo dei migranti sulle navi della Guardia costiera e la presenza della polizia giudiziaria.
«Non possiamo consentire che portino armi», è la presa di posizione di chi ha deciso di non aderire. A nulla sono servite le rassicurazioni del prefetto Mario Morcone sul fatto che il trasbordo «sarà consentito, se richiesto dalla Guardia costiera» e sul fatto che «la legge italiana impedisce di avere agenti disarmati».
La reazione di Minniti è categorica: «Questo rifiuto pone le organizzazioni fuori dal sistema. È evidente che non possiamo consentire a organizzazioni straniere di non adeguarsi a quanto stabilito dal nostro governo e autorizzato dall' Unione Europea».
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Sul divieto di attracco si era espresso in maniera negativa il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio paventando il rischio di essere accusati di aver ostacolato i salvataggi. E dunque non sarà impedito l' ingresso nei porti ma, come chiarisce Minniti, «ci saranno conseguenze che potranno determinarsi a partire dalla sicurezza delle imbarcazioni stesse».
È possibile che già nei prossimi giorni siano affidate alla Guardia di Finanza le verifiche sulla regolarità degli attestati delle navi straniere in materia di sicurezza, ma anche sul rapporto di lavoro con il personale imbarcato. Una linea che era stata anticipata già nei giorni scorsi, anche tenendo conto di quanto emerso nel rapporto Frontex sulle comunicazioni tra alcuni membri degli equipaggi e chi gestisce le partenze sulle coste della Libia. «Nessuna ritorsione», spiegano al Viminale, «ma l' inevitabile evoluzione di un rapporto che non si è voluto ufficializzare e rendere trasparente come invece era stato richiesto».
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Negli ultimi giorni il flusso degli arrivi appare diminuito e si è tornati ai livelli del 2016. Un buon risultato, anche se nessuno si illude che le partenze possano di colpo fermarsi. E proprio di questo si parlerà oggi in Parlamento, chiedendo il via libera alla missione navale nelle acque libiche «a supporto della guardia costiera locale e per contrastare l'immigrazione illegale».
Esattamente quanto chiesto nella lettera che Sarraj ha inviato il 23 luglio al governo italiano. Nella missiva viene specificato che l' operazione «dovrà inserirsi nel quadro del consolidamento della cooperazione privilegiata tra i nostri due Paesi nella lotta al traffico di esseri umani e all' impegno per limitare la crescita del fenomeno». Per questo si chiede «l' invio in Libia di un sostegno tecnico navale per fornire aiuto necessario agli organi navali libici».
E viene specificato che «la sede delle unità navali sarà il porto di Tripoli, per poter partecipare al pattugliamento congiunto su richiesta della parte libica». Dunque non ci sarà alcuna iniziativa italiana che non sia autorizzata dal comando di Tripoli: un modo per placare le polemiche e gli attacchi dei giorni scorsi contro Sarraj, accusato di aver «messo in discussione la sovranità nazionale».
Ancora ieri il Parlamento di Tobruk ha minacciato ritorsioni. Non a caso in serata il premier Gentiloni dichiara che «non sarà un' invincibile armata», cercando di ottenere il consenso di tutti i partiti e dunque il via libera a un' operazione che potrebbe partire prima di Ferragosto.