Ilario Lombardo per “la Stampa”
MACRON - DRAGHI - SCHOLZ A KIEV
Il grano è il vero banco di prova. Soltanto una via d'uscita per sbloccare i porti del Mar Nero potrebbe misurare le possibilità di un negoziato. Al momento gli ucraini pongono come condizione la propria integrità territoriale. Alle orecchie di Vladimir Putin è come non dire nulla. Per Mario Draghi la strada per avvicinarli è il grano. E si capirà se davvero è percorribile nelle prossime settimane. Ma non potrà essere un Paese da solo, secondo il premier, a offrire certezze sull'esito. Non l'Italia, o la Francia, o la Turchia.
IOANNIS - DRAGHI - ZELENSKY - MACRON - SCHOLZ
«Chiaramente dobbiamo muoverci sotto l'egida dell'Onu, in modo che tutte le parti si sentano garantite». Draghi si riferisce ai russi. Vladimir Putin teme che sulle navi possano arrivare le armi. La comunità globale deve rassicurarlo che una volta tolto l'embargo le rotte si riapriranno solo per trasportare il frumento fermo sulle coste minate dell'Ucraina del Sud-ovest. Il premier racconta di una bozza di risoluzione delle Nazioni Unite che era già stata preparata: «Ma la Russia l'ha respinta». Anche in queste ore, rivela, «ci sono incontri dell'Onu a Mosca», che servono a capire a quali condizioni Putin potrebbe dare l'ok.
ZELENSKY - DRAGHI - SCHOLZ - MACRON
Durante il vertice a cinque ieri, con il francese Emmanuel Macron, il tedesco Olaf Scholz e il romeno Klaus Iohannis, Volodymyr Zelensky ha spiegato a Draghi che potrebbero servire almeno due settimane per lo sminamento. Il tempo scarseggia. Vanno svuotati i silos ancora carichi, per tenerli pronti quando arriverà il raccolto di settembre. Ma serve un piano più preciso. E una nuova risoluzione dell'Onu su cui lavorare. Il presidente del Consiglio intende parlarne con il segretario generale la prossima settimana, durante il G7 in Germania. «È un modo - aggiunge - anche per riscoprire il ruolo delle Nazioni Unite, che è stato dimenticato nei momenti più cruciali».
Il dramma di una carestia globale è un rischio concreto che va spazzato via con una dose di diplomazia in più. Ma bisogna anche avere realismo, secondo Draghi. C'è una distanza che è evidente sin nei gesti, nella percezione che Zelensky ha dei tre leader arrivati a Kiev. Ai fotografi non sfugge la stretta di mano più intensa che il presidente ucraino riserva Draghi. La complicità con cui lo accoglie al Palazzo Mariinskij e lo pone al suo fianco durante la foto di gruppo e poi nella scelta dei podi in conferenza stampa. Un tempo ci sarebbe stata la Germania da un lato e la Francia dall'altro.
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Ora Scholz è relegato nella periferia della fiducia di Kiev. L'asse franco-tedesco qui in Ucraina non ha retto. Draghi lo ha spezzato. Così voleva Zelensky, così - spiegano fonti diplomatiche - chiedevano gli alleati americani. Il governo italiano è stato il più convinto sull'ingresso dell'Ucraina all'Europa. Analizzate con il termometro delle simpatie ucraine, invece Berlino paga l'atteggiamento prudente del cancelliere. E Parigi l'iniziativa troppo individuale di Macron. Meno di dieci giorni fa, lo status di candidato-membro dell'Ue era ancora una parentesi incerta. Troppa impreparata l'Ucraina, per Scholz.
LA STRETTA DI MANO TRA DRAGHI E ZELENSKY
Troppo lontana, per il presidente francese, dal suo ambizioso progetto di Comunità politica europea allargata a Kiev ma autonoma rispetto l'Unione. Draghi ha convinto prima Macron a Parigi, poi Scholz durante il vertice a tre improvvisato sul treno partito nella notte dal confine polacco e durato fino alle due del mattino.
Adesso, al Consiglio europeo della prossima settimana, Draghi deve finalizzare l'accordo, e blindarlo. Andranno convinti tutti Paesi, senza trascinare il dossier troppo in là, perché si rischierebbe di smarrire lo spirito di Kiev. Al vertice di Bruxelles, il premier, poi, arriverà ancora più convinto dalla necessità di intervenire sul prezzo del gas. Tornerà a insistere sul tetto, ancora di più dopo quelle che definisce «le bugie della Russia» sui motivi dei tagli alle forniture dell'altro ieri e «l'uso politico del gas».
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Per Draghi è una strategia di pura e semplice ritorsione contro le sanzioni inflitte dall'Ue a Mosca. Misure punitive che Zelensky chiede ai leader europei di inasprire. Il presidente ucraino sarà pronto a sedersi con Putin solo se il Cremlino non cercherà l'umiliazione territoriale nel Donbass. Nell'incontro di Palazzo Mariinskij non si parla invece di armi. Forse per non imbarazzare Scholz.
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Per il cancelliere però è impossibile sfuggire alla domanda dei giornalisti. Se la cava con una risposta secca, che ha quando gli ricordano che gli ucraini ancora aspettano i mezzi militari promessi. Zelensky però le armi le vuole. Gli servono per non capitolare a Est. E durante la conferenza dei donatori per l'Ucraina, coordinata dalla Nato, si è deciso di inviare nuove forniture. L'Italia non si sottrarrà. Ma è una questione che Draghi vuole risolvere quando avrà le mani più libere, dopo che il 21 giugno, in Parlamento, si sarà confrontato con il muro dei 5 Stelle e della Lega, contrari a nuovi invii.
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