1 – LA VERSIONE DI MUGHINI
Giampiero Mughini per Dagospia
Caro Dago, sono giorni e giorni che rimugino su questa condanna a 6 mesi – convertiti in una multa di 45mila euro – del sindaco di Milano Beppe Sala, reo di avere firmato documenti che assegnavano due importanti appalti dell’Expo (la benemerita e magnifica Expo di Milano del 2015) apponendo a quei documenti una data anteriore, e questo perché altrimenti si sarebbe inceppata la produzione di quell’evento di cui noi italiani dovremmo tutti andare orgogliosi.
Vedo che nella stessa motivazione dei giudici c’è una sorta di imbarazzo, tanto da accordare a Sala l’attenuante di avere agito “per motivi di particolare valore sociale”. E vorrei ben vedere, ché altrimenti l’Expo rischiava di non farsi. Non c’è nessun altro motivo per cui Sala ha agito come ha agito: non ha tolto il pane a nessuno, non ha avuto il benché minimo vantaggio pecuniario, non ha offeso la Costituzione.
E’ stato solo un manager che puntava alla realizzazione di un’opera importante, per certi aspetti immane. E dunque in quella condanna non c’è di che attenuare di una virgola la stima che alcuni cittadini repubblicani quale il sottoscritto portano a Sala.
Volevo scrivertene, solo che mi tratteneva il sospetto che mi sfuggisse qualcosa di quel processo. Non sono di mestiere un lettore carte processuali; non me lo posso permettere, dato che ancora non ho letto alcuni dei libri di Dostoevskij, di Elias Canetti, di Isaiah Berlin. Pensavo: non è che scrivo in difesa di Sala e poi c’è che uno di quei giornalisti che per mestiere leggono le carte processuali mi fa un culo così?
BEPPE SALA CON CALZINO ARCOBALENO
Uno di quei giornalisti specializzati in carte processuali, o per meglio dire specializzatissimi in carte processuali che documentano in ciascun processo le ragioni dell’accusa, è Gianni Barbacetto del “Fatto” . In qualcuno dei quindici libri di Marco Travaglio che riempiono uno scaffale della mia biblioteca, figura anche la sua firma.
Ed ecco che stamane apro il “Fatto” e vedo la sua firma in testa a un articolo about il caso Sala. Ovviamente si presenta come un articolo che vuole fare il culo così al sindaco di Milano, uno che “ha falsato gli atti”. Lo leggo da cittadino repubblicano, non da adepto dell’una o dell’altra consorteria.
Dopo averlo letto, e letto due volte, non sposto di un ette i miei convincimenti su quanto fosse vacua l’accusa a Sala. Sì, certo, l’attuale sindaco Di Milano ha anteposto la data dei documenti che ha firmato. Non c’è dubbio. E con tutto ciò reputo che abbia fatto benissimo, io avrei fatto lo stesso al suo posto. Chiunque dotato di senno e di realismo civico avrebbe fatto lo stesso.
Non c’è un solo e benché minimo argomento in appoggio del contrario, argomento sostanziale e dirimente voglio dire. Me lo ricordo dai tempi dei miei tristissimi studi universitari di Giurisprudenza (studi abbandonati per poi laurearmi in Lingue e letterature moderne). Sommo diritto, somma ingiuria. Almeno quello l’ho imparato per sempre, ed è una dizione su cui non piove una sola goccia.
Condannato. Ma per un reato commesso "a fin di bene". A onore e gloria di Milano e dell' Expo. È questa la reazione prevalente alla sentenza che ha comminato 6 mesi di reclusione (convertiti in una pena pecuniaria di 45 mila euro) a Giuseppe Sala, commissario dell' esposizione universale 2015 e poi sindaco di Milano.
Sala temeva di non riuscire ad aprire i cancelli della grande fiera nel giorno previsto, il 1° maggio 2015. Ecco dunque che furono forzate le procedure - in questo come in altri casi - e falsificati i due atti che ora costano a Sala la prima condanna mai inflitta a un sindaco di Milano in carica.
Si può commettere un reato "a fin di bene"? La Procura di Milano, allora guidata da Edmondo Bruti Liberati, decise di non indagare Sala, considerando la retrodatazione dei due atti "un falso innocuo". Erano i mesi in cui Bruti (in contrasto con il suo aggiunto Alfredo Robledo), considerava necessario trattare Expo con la "sensibilità istituzionale" per cui fu poi ringraziato dall' allora presidente del Consiglio Matteo Renzi. Fu la Procura generale, per iniziativa di Felice Isnardi, a giudicare "inerte" la Procura e ad avocare le indagini sull' esposizione universale.
gianni barbacetto virginia raggi
Ma davvero si possono commettere reati "a fin di bene"? Bastassero le buone intenzioni, sarebbero del tutto inutili i codici, i giudici e il diritto. Gli psicologi e i preti si sostituirebbero ai tribunali. E chiunque, anche il peggiore dei criminali, potrebbe attribuirsi ottime motivazioni per i suoi comportamenti. Invece è certo che Sala abbia mentito, quando ha dichiarato di non essersi accorto di aver firmato due atti falsi, o almeno è certo che abbia agito con leggerezza non degna di un manager considerato meritevole di essere premiato con la candidatura a sindaco di Milano. "Faremmo un grave torto al dottor Sala", ha detto in aula il Pg Gaballo, "se gli attribuissimo una tale negligenza e superficialità".
Di certo il sindaco ha ripetuto la scena in voga ai tempi dei politici della Prima Repubblica, quando davanti ai giudici, il 15 aprile 2019, ha ripetuto per dieci volte "non ricordo".
Ha dichiarato di non essersi accorto "della retrodatazione dei verbali": "Ho firmato migliaia di atti, non lo ricordo come uno dei passaggi più rilevanti della storia di Expo".
"Non ricordo quando e dove ho messo la firma". "Non ricordo (la data sugli atti, ndr), per me l' importante era la parte sui sostituti commissari, non ho guardato la data". Ha firmato due volte? "Non lo ricordo". Chi portò i documenti da firmare? "Non lo ricordo".
"Si è sacrificato per il bene di Milano", dicono i suoi sostenitori. È inciampato in "un vizio di forma che non ha prodotto alcun effetto": ma la retrodatazione è sostanza, non forma. Quanto agli effetti, ci sono eccome. E sono clamorosi: l' insuccesso di Expo avrebbe determinato la fine della sua carriera; il (parziale) successo gli è valso invece la poltrona di sindaco di Milano (e domani, chissà, l' ingresso a Palazzo Chigi).