Elena Stancanelli per la Stampa
Amore. Come in un romanzo di Patrick Modiano. Un appunto su un foglio bianco poggiato da qualche parte, prima di buttarsi da una finestra a Mosca. Una sola parola, ineffabile: Amore. Ekaterina Alexandrovskaya aveva vent' anni, una carriera da pattinatrice congelata contro la sua volontà, una russa che aveva gareggiato anche per l' Australia. Che avrebbe potuto essere più grande se le cose avessero funzionato come dovevano.
Quali cose? Forse anche l' amore. È un' ipotesi, potrebbe trattarsi di un grido lanciato contro qualcuno, un indice puntato. Oppure è solo un rimpianto. Ha scritto su un foglio quello che avrebbe dovuto esserci perché la sua vita valesse la pena di essere vissuta. Come quando, prima di uscire per fare la spesa, controlliamo cosa non c' è in casa.
Amore. Non lo sapremo mai, neanche se, come in un romanzo di Modiano, dedicassimo la nostra vita a cercare le tracce che ha lasciato nei suoi pochi anni. Se avessimo i suoi diari, se potessimo frugare nella sua borsa, se potessimo interrogare uno a uno tutti i suoi amici, compresa la sua allenatrice che la convinse a trasferirsi in Australia.
Ekaterina Alexandrovskaya era una pattinatrice, e il suo partner, Harley Windsor, era stato, in coppia con lei, il primo atleta aborigeno a partecipare alle Olimpiadi. Era lui, Amore? In quel caso non si sarebbe data abbastanza tempo per concludere la frase, per aggiungere il nome di lui. Forse amore è il titolo che lei gli aveva dato, come onorevole, o dottore. Harley Windsor, Amore.
O forse era la parola incisa nel ghiaccio dalle lame dei loro pattini, il ghirigoro lasciato a terra dopo ore e ore per rendere il salto più preciso, la piroette più aggraziata. O magari niente di tutto questo. Amore era il nome di un animale, un cane, un pappagallo. O un luogo, una spiaggia, un locale al centro di Mosca, un cocktail che Ekaterina Alexandrovskaya beveva in un chiosco sul lungomare di Melbourne e le era tornato in mente guardando fuori dalla finestra.
Cos' è Amore? Nella celebre fiaba di Apuleio, Amore è proprio quello che non si deve sapere. Psiche, nonostante fosse stata avvertita di non farlo, accende una lampada per poterlo guardare. E in quel modo lo perde.
Dovrà fare una fatica del diavolo per riconquistarlo, e tutto questo per colpa della sua curiosità. Non lo sapremo mai, né che volto abbia davvero Amore, né cosa avesse in testa quella giovane donna prima di buttarsi dalla finestra. L' unica cosa che sappiamo è che non c' è altro, solo quell' unica parola. Non sappiamo se perché lei abbia scelto che non ci fosse altro, o perché il suo dolore non le ha concesso altro tempo.
Ma non fa differenza. È come una metamorfosi. Lei se n' è andata e di qua è rimasto solo un biglietto con la parola Amore. Se dovessi raccontare questa storia, scriverei di una donna che ha portato un carico enorme su di sé, che si è sentita pesante, sopraffatta dalla fatica di trascinare chissà cosa. E prima di aprire la finestra ha pensato di volersi lasciare alle spalle una cosa leggerissima, un respiro. Una sola parola, ineffabile.
LA PATTINATRICE RUSSA MORTA SUICIDA L'ULTIMO SUO MESSAGGIO: «AMORE»
Marco Bonarrigo per il Corriere della Sera
Nella stanza di casa da cui ieri si è lanciata nel vuoto, la polizia di Mosca ha trovato un bigliettino con una sola parola: «Amore». Ekaterina Alexandrovskaya, era una millennial perfetta (nata all' alba del 1° gennaio del 2000) che aveva cominciato a pattinare sul ghiaccio prima ancora di camminare: a quattro anni era già iscritta a una delle migliori scuole della capitale russa, a sei gareggiava.
«Mia madre - confessò Ekaterina in una delle rare interviste - decise che sarei stata una pattinatrice, perché amava alla follia quello sport. Io da bambina sognavo di essere una ginnasta oppure di praticare il badminton. Ma lei non cambiò idea».
Uno scricciolo di un metro e 57, precoce in tutto (campionessa nazionale a 12 anni) e capace di una scelta coraggiosa per un talento dello sport ex sovietico. A 16 anni Galina e Andrei Pachin, i suoi allenatori, la convinsero a scegliere la nazionalità australiana per esibirsi in coppia con Harley Windsor, fascinoso talento locale. Una coppia che funzionava alla perfezione, capace di portare a casa il titolo mondiale juniores del 2017 (il primo nella storia del paese) e di convivere con i tanti problemi di salute di Windsor, atleta di enorme talento ma dai tendini fragili come il cristallo. Una coppia di ragazzini inquieti, capace di trasferirsi più volte da Sidney a Mosca a Montreal per cercare nuove cure e nuovi tecnici con lei che riuscì comunque a studiare e a prendere il diploma di scuola superiore.
Nel 2018 Ekaterina e Harley fanno il loro debutto ai Giochi Olimpici di PyeongChang, pagando la tensione e concludendo al diciottesimo posto.
Nel mesi successivi ai Giochi cominciano le difficoltà perché la malattia ai tendini di Windsor si aggrava ed allenamenti e gare procedono a singhiozzo. Lo scorso novembre l' epilogo inatteso: Harley Windsor dichiara di stare meglio, Ekaterina lascia lo sport senza precisare le ragioni del suo ritiro e torna a vivere a Mosca.
Andrei Khekalo, il suo ultimo allenatore, ieri ha menzionato una serie di attacchi epilettici che sarebbero avvenuti a inizio 2019. Ricoverata per due settimane in ospedale, Ekaterina avrebbe provato più volte a riprendere l' attività ma sarebbe stata fortemente sconsigliata dai medici. Un nuovo ricovero all' inzio di quest' anno.
«Nessuna parola può descrivere - ha scritto Windsor su Instagram - come mi sento in questo momento: sono devastato e sconvolto. Quello che io e te abbiamo raggiunto assieme è qualcosa che non potrò mai dimenticare e che mi terrò sempre vicino al cuore. Riposa in pace Katia».
Di Ekaterina restano 49 foto su Instagram - molte in compagnia di Harley - e il biglietto trovato nella stanza di Mosca. A chi fosse rivolto il suo messaggio d' amore forse non lo sapremo mai.