Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia
I tre gol, credetemi, sono stati la parte meno rilevante della folle partita giocata ieri sera all’Olimpico da Mohamed Salah, Momo per amici, compagni e tifosi, Momo soprattutto per il Rasputin in panchina, che se lo bacia e se lo strucca come fosse una bambola, con la forzata delicatezza di chi, avendo il tritolo nei muscoli lo stritolerebbe invece per eccesso di amore. Interrogato sull’incombente disgrazia che lo priverà per quasi un mese del suo adorato, ha trasformato il languore in ironia. “Momo in Coppa d’Africa a gennaio?
La Roma me ne prenderà un altro uguale…” ha detto il formidabile Lucio, troppo sapendo che in questo e, chissà se in altri pianeti, non esiste copia del suddetto. Attenzione, non parlo del suo valore tecnico, peraltro notevolissimo (sinistro dalla grazia commovente), ma delle sue caratteristiche nell’insieme.
Tra gol fatti (erano quattro, in realtà) e mancati, strappi, folate, dribbling, assist, recuperi difensivi, l’ultimo mille all’ora poco prima di uscire, l’egiziano ha ieri invaso e pervaso i novantacinque minuti come poche volte ho visto fare da un singolo giocatore in tutto il calcio che, da vizioso incallito, mi è capitato di vedere, tra le cinquemila e le seimila partite secondo un calcolo sommario.
Uno, bino e trino. E’ lui la differenza. Lo switch fondamentale di questa squadra meravigliosa che stravince solo mostrandosi, come qualunque bella donna a spasso per il mondo. La Roma con lui diventa “Via col vento”, trasforma l’accademia a volte leziosa del bel fraseggio nell’ebbrezza alcolica della profondità, il brivido dell’ottovolante quando vai a picco nel vuoto, il cuore in gola dello spazio che quantisticamente si deforma quando vai a tavoletta nella stratosfera e senti che nessuno ti può stare dietro.
L’egiziano folle costringe la Roma, con i suoi superpoteri, ad adeguarsi, a pensare veloce, rendendola così più forte e più letale. Costringe uno come Dzeko, che la natura porterebbe sennò a scammellare in volute inutili per quanto eleganti, a precipitare in furiosi assecondamenti e diventare così il fuoriclasse che è, ma si vergogna di essere. Uno come Salah dice al resto della squadra, e lo dice senza nessuna protervia, con il dolce sorriso delle bambole divine: siete con me o contro di me. Lui è con loro, loro sono con lui, questo fa della Roma la squadra di gran lunga più eccitante del campionato e forse d’Europa
Lui ringrazia ogni volta Allah, i compagni e Spalletti ringraziano lui, la Roma ringrazia lui i compagni, noi ringraziamo la Roma. Di averlo portato via al Chelsea, che non ringrazia nessuno, anzi maledice Mourinho, che capisce di calcio quanto noi di pompe funebri.
In questa Roma di vertiginosa bellezza e inevitabili collassi (la migliore squadra del campionato, ma forse non le basterà a vincerlo) c’è un altro calciatore irripetibile, Diego Perotti. Non fosse stato semioscurato dalla romanzesca partita di Salah, staremmo tutti qui a parlare di lui. Bello e inafferrabile come Zorro. Vado a braccio e lo abbraccio. Cerco nel mio scibile calcistico passato e presente, ma anche futuro. Non ne trovo uno simile. Almeno due fondamentali fuoriclasse in uno. Capace di saltare chi mal capita dalle sue parti dieci volte su dieci, nove se non è in giornata, come il più funambolico e leggiadro giocatore di fascia, allo stesso tempo ispiratissimo dieci, propiziatore di miraggi calcistici, assist e imbeccate negli spazi del suo talento visionario.
A farlo campione è il calcio che ha nella testa prima ancora che nei piedi. Freddezza e tempi musicali. Guardatelo quando batte i rigori o salta l’uomo. Esecuzioni letali, perché sceglie sempre l’attimo giusto. Lui coglie sempre la prima mela. Ah.