CASSANO, L’ETERNO INCOMPIUTO - LA PARTITA CON LA COSTA RICA POTEVA ESSERE L’OCCASIONE PER IL SUO RISCATTO, INVECE HA SPRECATO L’ULTIMA OCCASIONE PER DIMOSTRARE DI NON ESSERE SOLO UN GUAPPO DI CARTONE

Uno che al netto degli anni gettati via in polemiche sterili con gli allenatori, maglie tolte con rabbia, corna all’arbitro, è stato un ottimo giocatore, certamente distante dal fenomeno che sembrava poter essere da ragazzino - Stavolta è quasi impensabile la resurrezione…

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Pierluigi Pardo per "il Foglio"

 

Quando alle 13,55 di un venerdì caldo e scuro, a Recife, Antonio Cassano, appena mandato in campo da Prandelli, per un attimo ha interrotto il riscaldamento, si è girato verso le prime file della tribuna e ha salutato tutti (la moglie Carolina, la suocera Daniela, il piccolo “paciocchino” Christopher e il secondogenito Lionel) per un attimo è sembrato che tutto stesse per ricomporsi. 

 

Che l’eterna partita col destino del più talentuoso e incompiuto Peter Pan del calcio italiano fosse giunta all’ennesimo, imprevedibile e fortunato dribbling. O così almeno pensavamo, meglio speravamo. La Nazionale sotto con la Costa Rica e la sua classe, indiscutibile, pronta a cambiare le cose, come nel ribaltone classico dei film a lieto fine in cui sai già che il Bene inevitabilmente trionferà sul Male. 

antonio cassano in panchina antonio cassano in panchina

 

Ora sappiamo che non è andata così e sospettiamo che quei 45 sbiaditi minuti siano il tramonto di tutto. Forse. Antonio Cassano non aveva mai giocato al Mondiale. Paradosso per uno come lui, enorme classe e mille occasioni buttate. Un uomo comunque da quasi 150 gol in carriera, e assist molti di più. Uno che al netto degli anni gettati via in polemiche sterili con gli allenatori, maglie tolte con rabbia, corna all’arbitro, è stato un ottimo giocatore, certamente distante dal fenomeno che sembrava poter essere quando da ragazzino palleggiava per ore e incantava i turisti in piazza del Ferrarese a Bari, ma anche dalla banalità dei calciatori normali. 

 

Innamorato della maglia azzurra eppure mai convocato per la Coppa prima di oggi. Troppo giovane nel 2002 col Trap, appena emigrato a Madrid e in ritardo di condizione nel 2006, inviso a Lippi nonostante i colpi di genio sampdoriani nel 2010. Anche stavolta la strada sembrava in salita. Ma attenzione ai giri improvvisi del destino. In tre mesi è passato da essere fuori dai giochi a venir considerato titolare fisso, per finire poi, davvero, in questo limbo insapore. In panca senza entrare con l’Inghilterra, in campo nella ripresa con la Costa Rica per provare a salvare la Patria. 

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Ma dopo dieci minuti non da buttare, in cui da seconda punta stava provando a fare qualcosa, Prandelli gli mette Insigne, sulla mattonella di sinistra, quella del “movimento Cassano”, la sua giocata più istintiva e pericolosa, e tutto cambia. Antonio perde fiducia, gioca male, sembra in ritardo di condizione e naufraga al pari degli altri. Ora è quasi in fondo alle gerarchie. 

 

E’ assieme a Thiago Motta, Paletta, Insigne e, in minor misura, Cerci, nella lista degli impresentabili per il Ct che ha modificato modulo e convinzioni (Balotelli e Immobile insieme adesso si può fare). L’intelligenza ovviamente è anche nel saper cambiare idea, ovvio, e molti stasera dopo il fischio finale con l’Uruguay, decideranno se Prandelli sia stato geniale nella rivoluzione o patetico nell’aver abdicato ai suoi principi in nome della pressione mediatica. 

 

Comunque sia, in questo Italia-Uruguay, Antonio Cassano difficilmente troverà spazio. Stavolta è quasi impensabile la resurrezione. Ma nulla si può escludere con uno come lui. L’uomo dello spariglio geniale quando tutto sembra perduto e dell’autogol sanguinoso quando tutto è perfetto. Ha rischiato la vita nell’ottobre del 2011 e otto mesi dopo era titolare all’Europeo, tanto per citare il ribaltone più clamoroso.

 

Ha buttato via l’amore dei tifosi a Roma, l’occasione della vita a Madrid con Capello, è risorto a Genova, ha litigato con Garrone, ha vinto lo scudetto a Milano, gli è quasi scoppiato il cuore, è risorto, ha spinto la Nazionale in finale a Kiev, ha fatto l’amore e poi la guerra con Stramaccioni, ha incantato Parma riconquistando l’azzurro. 

 

Ora è qui in panca, a chiedersi se quel pomeriggio mondiale a Recife sia stato davvero il primo e pure l’ultimo e se il fischio finale dell’arbitro Osses e la festa della Costa Rica l’ennesima occasione perduta della sua vita. Quella di un ragazzo fragile e invadente, sincero e incostante, indisponibile al dialogo e alle pubbliche relazioni, pigro e incompreso, anche. Enorme negli slanci e nella fantasia. Trascinatore e timido come forse nessuno, al mondo, saprà mai.

 

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