DALLA DDR CON FURORE: PARLANO LE DONNE RECORD DELL’ATLETICA - KOCH: “ANCHE IO SONO DIVENTATA UN SIMBOLO DA ABBATTERE. I MIEI PRIMATI RIDOTTI A CRIMINI” - DRECHSLER: ‘’DICEVANO CHE ERO UN’AGENTE DELLA STASI, HO SCOPERTO CHE LE AMICHE MI SPIAVANO”

Le due ex atlete della Ddr nella Hall of Fame della Iaaf, Heike Drechsler: “Pillole, allenamenti folli, accuse. Il confronto più duro è stato con mio figlio. L’hanno portato a visitare le prigioni delle Stasi e lui mi ha chiesto: come hai fatto? Lavoravo duro. Non perché lo chiedeva il regime, ma perché non accettavo la sconfitta”...

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Emanuela Audisio per “la Repubblica

 

HeiKe Drechsler HeiKe Drechsler

Le due signore dell’est hanno visto cadere il Muro. Ma non quello loro, fatto di velocità, di pista e pedana. Quello nessuno l’ha buttato giù e nessuno ci prova: troppo invalicabile. Anche dopo trent’anni. Sono le Angela Merkel dello sport. Ma se la Cancelliera guida nel presente, loro comandano dal passato. Marita Koch nell’ottobre ‘85 a Canberra divorò i 400 metri in appena 47”60. Un record stratosferico.

 

Tanto per dare un’idea: oggi con 50 secondi si è leader nel mondo e con 51 si vince un Europeo. Heike Drechsler è grande e unica: più di 400 volte oltre i sette metri, due ori olimpici nel lungo.

 

Sarebbe nelle stesse condizioni di Marita se nel ‘92 a Sestriere un alito di vento (2.1) non avesse annullato il suo 7.63, undici centimetri in più dell’attuale primato del mondo. Koch e Drechsler: due donne ai confini del mondo. Due atlete della fu Ddr.

 

HeiKe Drechsler HeiKe Drechsler

Oggi hanno 57 e 50 anni. E sono appena entrate nella Hall of fame della Iaaf. La prima ha una figlia, la seconda un figlio. Loro stesse figlie di un paese che in cinque partecipazioni ai Giochi estivi e in sei invernali si è messo al collo 519 medaglie, di cui 192 d’oro. Una fabbrica di primati, sostenuti dalla scienza del doping. Una formula-successo ad alta densità sconosciuta a Usa e Urss.

 

Marita si è ritirata nell’87, Heike nel 2004. Il muro di Berlino nell’89 (sotto altri colpi). Dov’erano quel giorno? A casa davanti alla tv. Koch: «Mi sono chiesta: perché solo ora e non prima? Ho pianto, ho guardato mia figlia, ho pensato che il suo futuro sarebbe stato bellissimo mentre a me una settimana dopo sono toccati sospetti, sguardi indagatori, condanne. Ero la sporca, brutta e cattiva. Una padrona inguardabile».

 

Drechsler: «Era appena nato mio figlio Tony, lo tenevo in braccio, ho visto le immagini in tv, ho subito chiamato al telefono la mia amica Esther, passata dall’altra parte due anni prima, con il pensiero che non ci saremmo più riviste. E tutte e due siamo scoppiate in lacrime. Mi chiedono: com’era il regime? Bella l’idea dell’eguaglianza, brutta la mancanza della libertà, non si poteva viaggiare all’estero. Mamma non aveva un soldo, sono cresciuta in una scuola di sport dove professori e allenatori si prendevano cura di me.

Marita Koch Marita Koch

 

I programmi erano folli: da me volevano 40 ore di allenamento a settimana, fortuna che ero protetta dal mio coach, Peter Hein, che riempiva dei falsi moduli. Nei nostri libri gli americani erano descritti come aggressori, la prima volta che sono andata a New York ero piena di paura.

 

Ma nella mia stanza d’albergo sono rimasta affascinata dai tanti canali tv e con i dieci dollari per lo shopping ho comprato il mio primo paio di jeans, invece dal Messico nell’87 ho portata a casa per Natale tre ananas. Nessuno di noi li aveva mai visti freschi».

 

La caduta del Muro ha rotto qualcosa in tutte e due. Koch: «Mi sarebbe piaciuto tornare nell’atletica, ma improvvisamente ero anch’io un simbolo da abbattere. I nostri primati sembravano crimini. Se ci avevano dato qualcosa non so, io ho sempre lavorato duro. Dicono: il doping corrompe. Rispondo: e i soldi che ci sono oggi no?».

 

Drechsler: «Senza la caduta del Muro avrei interrotto la carriera. Per noi non era facile fare un figlio: dovevi compilare un modulo, dire come e perché, eri un bene dello Stato. Hanno scritto che i miei risultati erano solo per il doping e mi sono detta: torno per dimostrare che non è così. Sì, negli anni Ottanta mi davano delle pillole, dicevano per la mia salute.

angela merkel 4 angela merkel 4

 

Gareggiare per la nuova Germania non è stato facile. Ero una nemica, quattro controlli a settimana, per gli altri della squadra molti meno. Sul podio a Barcellona nel ‘92 ascoltando Deutschland über Alles, la strofa dell’inno tedesco, avevo una sensazione di estraneità, non ne conoscevo le parole. Mi sono sentita veramente tedesca, e non più un’ex avversaria, solo ai mondiali di Stoccarda nel ‘93. Mi hanno gridato “Unsere Heike”, la nostra Heike. Finalmente ero a casa e lì durante l’inno ho pianto».

 

Marita e un’epoca da non buttare via. «C’è chi vuole cancellare i nostri record, come fossero una cosa di cui vergognarsi. Ma dietro c’era un lavoro che oggi non vedo. Dove sono i giovani che fanno atletica? Dove sono i bravi tecnici, quelli che nella vita ti fanno da maestri?».

 

angela merkel 2 angela merkel 2

Anche Heike ha dovuto confrontarsi con il passato. «Dicevano che ero un’agente della Stasi, così nel ‘90 sono andata a Berlino a controllare gli archivi. Mi è caduto addosso un mondo: il fotografo che credevo un amico mi spiava, le compagne con cui bevevo una birra anche. È stato terribile, non riuscivo più ad uscire di casa, sentivo ovunque gli occhi degli altri».

 

Ma Heike ha spiegato al figlio venticinquenne che non tutto era da buttare. «Il confronto più duro è stato con lui. L’hanno portato a visitare le prigioni delle Stasi e lui mi ha chiesto: come hai fatto?». La risposta è questa: «Non mi sono mai scoraggiata. Ogni volta che ho perso sono tornata ad allenarmi più di prima. Non perché lo chiedeva il regime, ma perché non accettavo la sconfitta». Angela, Marita, Heike: la scuola di chi non molla.

 

 

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