Mario Sconcerti per il Corriere della Sera
È stata una partita leggera, non dominata dalla Juve ma sempre tenuta in mano.
Quasi un gioco da ragazzi spinto con prudenza, ma continuo, insistente, fino a diventare travolgente. Il Milan è andato presto alla deriva come personalità finché è esploso in cinque minuti di piccola violenza juventina. In realtà c' è stata partita solo nei minuti iniziali, quando Calhanoglu ha messo in imbarazzo Cuadrado e dato a Cutrone un pallone da gol salvato da Buffon.
Ma il Milan è sempre rimasto sotto il livello dell' avversario. Era la Juve semmai a non cercare di chiudere in fretta la partita, assopita in uno di quei momenti in cui cerca lentamente di trovarsi. Non è stato un problema di stanchezza a fermare il Milan, è stata un' immaturità complessiva forse esagerata dal punteggio, ma abbastanza netta guardandola dal campo. La Juve è un' altra squadra, stavolta ha anche giocato bene, voluto vincere, cercato l' esagerazione. Il Milan ha continuato a promettere, ma non ha avuto sponde nel gioco, troppa la differenza.
Forse se fosse andato in porta il primo pallone di Cutrone, ma sono leggerezze lontane. È soprattutto fallita la prova di crescita che la squadra si aspettava, quel potersi mettere finalmente ad aspettare qualcosa senza ingannarsi. Sotto questo aspetto è stata davvero una brutta serata, la Juve è sembrata una scienza, il Milan soltanto un allievo nemmeno tanto preparato.
Confesso di essere rimasto sorpreso da tutte e due le squadre. Non pensavo a una Juve così facilmente forte e non pensavo a un Milan così facilmente inerte. Forse il nome ancora inganna, forse non esiste ancora un progetto ma andava a tutti di crederci. Il risultato di questa finale va oltre la sconfitta di una sera, pesa su tutta la stagione, su tutto un concetto di Milan che non va affondato, ma va ampiamente discusso e rivisto. Erano anni che non si vedeva una differenza così netta in Coppa Italia. Straordinaria la Juve per come ha cambiato marcia, per come ha fatto pesare la forza quasi senza arroganza, solo con naturalezza.
Non è una stagione storica come dice Allegri in una specie di sopravvalutazione «plebea» della materia; la storia è talmente normale per chiunque che basta dormire per entrarci; è la diversità che conta e quella è dalla parte della Juve. È stata una grande stagione perché è stata una Juve vulnerabile, che si è stretta attorno al suo allenatore e a se stessa per andare oltre i limiti che nessuno le riconosceva. E c' è riuscita sempre meglio, sempre di più. Fino a una notte come questa.
2. L’EREDE SI SQUAGLIA DAVANTI AL MAESTRO
Stefano Agresti per il Corriere della Sera
È la notte del passaggio di consegne: da Buffon a Donnarumma. Ma le mani di Gigio non sono abbastanza forti — non stavolta — per trattenere la palla e le responsabilità: lascia cadere tutto a terra, a cominciare da quel piccolo pezzo di Coppa che il Milan sentiva ancora tra le dita. Il disastro è doppio e conclusivo.
Prima il ragazzone va sul tiro da fuori di Douglas Costa con l’intenzione di bloccarlo ma la scelta è sbagliata, lì servono i pugni e via, come ha fatto il suo maestro con Cutrone e Suso, così a lui la palla scivola in porta; poi si lascia scappare di mano il più facile dei colpi di testa, permettendo a Benatia di affondarlo da un metro.
E pensare che in quell’inizio di ripresa Donnarumma c’era e si vedeva. Se n’era accorto soprattutto Dybala, al quale aveva fermato tre tiri belli e difficili, un sinistro sul secondo palo e due conclusioni violente da lontano. Tutto cancellato da quanto capitato subito dopo. Buffon, dall’altra parte, para. Gigio, l’erede, si squaglia. Già: l’erede?
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