Enrico Sisti per “la Repubblica”
Zaza non gioca mai: tre gol. Pepe ha ripreso da poco: tre gol. Mounier è un esterno: tre gol. Zukanovic, bosniaco come lui, è addirittura un difensore: tre gol. Dzeko, centravanti di lusso, 4,5 mln di stipendio, 45 reti in nazionale: tre gol.
L’unico su azione risale esattamente a un girone fa, di testa contro la Juventus pallida e tremebonda di inizio campionato. «Se avessi dovuto scegliere un centravanti per la mia Roma avrei scelto Edin». Spalletti ama i centravanti dai piedi sopraffini. Ma anche i falsi nueve all’ocorrenza sanno andare in doppia cifra. Ogni tanto bisognerà pure buttarla dentro se hai il nove dietro le spalle. Di menisco, col naso, di pancia.
Dzeko non lo fa mai, o meglio non lo fa più. Crisi e misteri. Da quando è stato acquistato dal City, con un’operazione da 20 milioni, dopo i tentativi della Romaper Bacca e Martinez, la sua fama è cresciuta a dismisura, parimenti alle attese. Il 29enne di Sarajevo non è mai stato un vero killer d’area (l’unico suo anno da 25 reti fu quello del titolo del Wolfsburg in Germania).
Ma non è mai stato neppure tanto arido e inconsistente in vita sua. Che sarà successo? Il Dzeko romano si erge come un faro del gioco basso e alto ma non attira falene, non aiuta i naviganti, non ispira né Virginia Woolf né Pjanic.
Il giocatore dal quale la Roma si aspettava 15 gol è un’icona sterile. Gioca da trequartista, apre spazi, ma i suoi eleganti movimenti non ispirano nessuno, nemmeno se stesso. E sotto porta è come se ogni volta tradisse il proprio talento. Ieri su Instagram: «Passi nei giorni neri per rivedere la luce».
Emblematico contro il Verona. Riceve una palla alta, il controllo di petto in torsione a seguire è arte pura, il tiro alto di destro è pura angoscia motoria. Il campione prepara, il brocco rifinisce. «Non sono bravo di testa, datemela bassa», ripete. Il risultato però non cambia. La casella delle sue marcature è mezza vuota come la Sud.
Milleduecentosessantaquattro minuti, una sola rete su azione più due rigori e le due reti in Champions. Una media da Candela. Al giovane Sadiq, ancora acerbo nei muscoli e nei movimenti, sono bastati pochi minuti per fare meglio del suo blasonato maestro di reparto. Si muove con la grazia di Van Basten, il grande bosniaco che non sente l’odore del sangue, poi rovina tutto perché non possiede la “luccicanza” della punta famelica.
La gente dice: con Lewandowski, anche giocando malissimo, il Verona ne avrebbe presi quattro. Possibile. Ma Lewandowski è al Bayern. Quando Dzeko sfondò la porta contro il Siviglia ad agosto in amichevole alla prima palla toccata, sembrava che la Roma avesse trovato finalmente l’erede di Batistuta e Balbo.
Illudersi è una specialità giallorossa. Montella è stato l’ultimo fenomeno. Totti ha mascherato le falle. Negli ultimi anni la Roma ha collezionato strepitose bufale offensive:: Dahlin, Bartelt, Carew, Mido, Nonda, Fabio Junior, Adriano, Julio Baptista, Osvaldo, Borriello. Ma Dzeko non può essere l’ultima bufala. O forse sì. Forse non ha attecchito e magari adesso è troppo tardi. Nel qual caso, farebbe comodo solo per la rima: con spreco.
2. CASTAN, CAMPIONE SMARRITO
Francesca Ferrazza e Matteo Pinci per “la Repubblica-Roma”
Dopo quel fallo da rigore ha passato quasi un minuto a terra, annodato su se stesso, disperato. Nello spogliatoio ha dovuto tenersi nello stomaco un magone fatto di rabbia e delusione, nemmeno a casa quel nodo è andato giù. E ora Leandro Castan potrebbe persino dire addio alla Roma.
O almeno arrivederci. “Pensavo di stare bene ma forse si sono fidati troppo di me, chiedo scusa, mi dispiace tanto”. Le scuse twittate dopo aver procurato il gol dell’1-1 del Verona fotografano questo ragazzo di 29 anni, costretto dalla vita a confrontarsi con un dramma reale, altro che un pareggio con l’ultima in classifica.
Un anno e mezzo fa un cavernoma al cervello metteva a rischio non solo la sua carriera, ma la sua vita: 12 mesi dopo è tornato in campo, ha recuperato. Forse non abbastanza però. Ora se ne è accorto anche lui: per questo il ds Sabatini vuole convincerlo che la cosa più giusta sarebbe passare i prossimi sei mesi in prestito, in Brasile, per ritrovare a casa propria la forma migliore, lontano dalle pressioni di Roma insieme alla moglie Bruna e ai figli Gianluca, Gabriel e Raffaella.
Un discorso in bilico tra questione tecnica e fattore umano, ovviamente nell’interesse del ragazzo: di club brasiliani pronti a prenderselo ce ne è una fila (a patto che sia la Roma a farsi carico dello stipendio), cominciando dal Corinthians che l’aveva lanciato. A tentennare però è proprio Castan: chi ha sconfitto il male non può spaventarsi per un calcio di rigore.
«Dopo l’intervento avevo l’uno percento di possibilità di morire, il dieci di restare con la bocca storta, ho dovuto imparare di nuovo a camminare », raccontava una volta superata l’operazione alla testa.
Pur di evitarla, avrebbe voluto lasciare la Roma, rinunciare al calcio: Sabatini lo convinse a lottare dandogli tutto il tempo di cui aveva bisogno. Forse per questo il primo pensiero, dopo quell’errore che ha condannato la Roma al pari col Verona e lui a una sostituzione inevitabile, sono state le scuse pubbliche, affidate a Twitter, ma virtualmente dirette a chi credeva in lui. Compreso Garcia.
Già, perché c’è stato un momento in cui Castan poteva davvero andare via. Se ne era convinto lui stesso, che faticava a spiegarsi il perché non trovasse spazio, arrivando a chiedersi se non fosse il caso di partire. Garcia quel giorno disse no: «Lo vedo in miglioramento». Ora forse qualcosa è cambiato.
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