Enrico Sisti per la Repubblica
Quell'uomo che esce dal campo con la coda fra le gambe non era mai stato eliminato agli ottavi di Champions. Ieri ha lasciato che fosse la meglio gioventù di Leonardo Jardim a fargli provare per la prima volta la strana sensazione di essere solo uno dei tanti allenatori, uno dei tanti che vanno a casa perché non hanno talento o non sanno insegnare abbastanza ai loro allievi. Ieri Pep Guardiola ha chiuso un' epoca: la sua.
Per ricominciare, mentre starà ancora ripensando alla bellezza del Monaco che gli ha appena sbattuto la porta in faccia, a Mbappé, a Germain, all' altro Silva, a Fabinho che faceva impallidire Fernandinho e a Lemar che giocava proprio come un suo allievo alla "Masia", Pep dovrà riflettere su cosa sia stata fin qui la sua esperienza al Manchester City. E cambiare logica e rotte. Oppure chiudere qui. Il suo soggiorno a Manchester è stato, di fatto, un mezzo fallimento. Didattico e culturale. Se si esclude la Fa Cup, che adesso (non ce ne voglia l' Inghilterra) conta meno della Premier anche da loro, il City non ha più niente da chiedere e niente da giocarsi.
Ieri Guardiola ha perso almeno cinque volte. La prima quando ha messo in campo una squadra, per la prima volta da quando allena ad alto livello, senza autorevolezza. Il City visto nel primo tempo di ieri non poteva essere un gruppo al quale era stato detto: «Andiamo a giocarci la partita, aggrediamoli alti, comandiamo noi». Il City era una foglia secca.
Ha tremato per 50 minuti senza mai reagire, senza mai salire, senza mai tirare in porta. Sul 2-0 per il Monaco il City era fuori dalla Champions ma Guardiola non ha cambiato nulla, altra sconfitta personale. Non si è accorto che il 4-1-4-1 che aveva scelto inizialmente era un invito al massacro per la gang dei piccoli poeti velocisti di Jardim. Una squadra sfibrata, il City di ieri, disossata.
Forse non aveva un' anima, di sicuro aveva un corpo fragile.
Guardiola ha perso ancora quando non ha sfruttato l' unica sua buona intuizione applicata nel secondo tempo: spostare De Bruyne come regista arretrato.
La rete di Sane riportava il City ai quarti. E lì Guardiola ha perso altre due volte. Non facendo salire la squadra (perché non si fidava di una difesa con Kolarov centrale) e dimostrando di non saper organizzare (nemmeno in allenamento) la marcatura a zona sulle palle inattive. Quella di Lemar porterà al 3-1 di Bakayoko.
Tempi intermittenti, insegnamenti mal digeriti, giocatori sopravvalutati e forse non voluti.
Guardiola non ha attecchito nella sua nuova casa. Sembrava una grande speranza. È stata solo una grande illusione. Se qualcosa ogni tanto s' è visto, è durato sempre troppo poco, un giorno sì e un giorno no, un tempo sì e la ripresa no. Il City di ieri, spezzato in due dall' intervallo, ha fatto ripensare alla partita dell' andata: stesse dinamiche, primo tempo da vagabondi accecati, secondo da fenomeni.
Ieri non sono stati nemmeno fenomeni, hanno giocato soltanto una decina di minuti con rabbia. Così non si va avanti: «In Champions», ha detto a caldo Guardiola dopo la sconfitta di Montecarlo, «non si possono regalare tempi interi agli avversari, ci vuole concentrazione massima, ma forse non sono stato io capace di trasmettere la giusta personalità ai miei per una partita esterna così importante».
Andato Guardiola, restano Luis Enrique, Zidane, Ancelotti, Allegri, Simeone, Tuchel, Jardim e, buon ultimo, lo Shakespeare del Leicester. Le otto dei quarti della Champions 2017 confermano i dati degli ultimi anni. Tre posti sono occupati per diritto divino da Barcellona, Bayern e Real Madrid. Sul quarto, da quattro anni, ha messo la zampa l' Atletico (ieri è bastato lo 0-0 col Bayer). Quattro vengono distribuiti in nome della democrazia.
Stavolta è toccato a Juventus, Dortmund, Monaco e Leicester. Chi si spinge così avanti deve ricordarsi che a questo punto della contesa, quando basta il movimento di un sopracciglio a tradire il biscazziere al tavolo da gioco, è un dovere sentirsi pronti a uscire. E magari è proprio questo il miglior modo per restare dentro. Domani il sorteggio.
2. I VELENI DI IBRA
A Collezione Capello (Fox Sports, domani alle 23) Zlatan Ibrahimovic parla di Guardiola: «Al Barça andava tutto bene, poi a Natale lui aveva cambiato sistema di gioco e non mi trovavo più. Gli parlai e mi disse che avrebbe sistemato la questione. Invece andai in panchina. Non andavo da lui perché non avevo un problema con quella persona.
Era lui che aveva un problema con me e non l' aveva risolto. Ancora oggi non so quale fosse. Prima mi chiamava tutti i giorni per avermi e da un giorno all' altro non giocavo più. Affrontarlo oggi mi dà adrenalina».