‘INCREDIBLE ONE’ – DOPO AVER DATO SCACCO MATTO AL PSG DELLO SCEICCO, MOU PUNTA A CONQUISTARE LA TERZA CHAMPIONS (CON 3 SQUADRE DIVERSE) – ALDO GRASSO: ‘MOURINHO È POLITICAMENTE SCORRETTO”

‘Mou è un guru, un santone, un filosofo. A differenza dei grandi leader carismatici, è antipatico ma è il primo che ha capito che il calcio è spettacolo globale, ‘larger than life’ e comunica il desiderio di vittoria, un sentimento che una cultura benestante, compiaciuta, politicamente corretta sembra aver dimenticato’…

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1. MOU, MOSSE E PROVOCAZIONI PER IPNOTIZZARE L'AVVERSARIO
Luca Valdiserri per ‘Il Corriere della Sera'

Con José Mourinho non si capisce mai dove finisce la storia e dove inizia la celebrazione; che cosa è racconto e che cosa mitologia. Così la sua pazza corsa al gol di Demba Ba, a tre minuti dalla fine di Chelsea-Psg, può essere l'esplosione di gioia di un tifoso «special» oppure la pazzesca lucidità di un allenatore che vede la possibilità di un «time out», che non esiste nel calcio, per dare le ultime indicazioni alla squadra.

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La verità è che Mou è un fanatico dei dettagli. L'abbigliamento, ad esempio: mentre Laurent Blanc era vestito come un dandy, il portoghese aveva scelto la tuta del Chelsea. Un segnale ai suoi giocatori: io gioco con voi, qualcun altro pensa a una festa dopo la partita.

A fine gara, nella conferenza stampa a Stamford Bridge, Mourinho ha tenuto molto a sottolineare alcuni concetti:
1) che per lui non era la più bella partita della carriera «perché ho vinto delle Coppe dei Campioni e questo era un quarto di finale. È stata "una" bella partita»;

2) che non gli importa nulla dell'avversaria del Chelsea in semifinale, nemmeno se sarà il Real Madrid dal quale si è separato in modo fragoroso, come testimonia anche il libro scritto dal suo «nemico» giornalista Diego Torres: «Ci sono le squadre migliori e l'importante è che ci siamo anche noi»;

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3) che si diventa «speciali» non solo facendo le mosse giuste, ma anche seguendo una linea assoluta di comportamento: «Tutti pensano che Demba Ba sia il terzo centravanti di questa squadra e, magari, a un certo punto, ci ha creduto anche lui. Così, quando ho inserito la seconda punta, ho scelto lui e non Fernando Torres. Perché prendesse fiducia». Demba Ba è quello che poi, fiducioso, ha segnato il gol qualificazione. Naturalmente.

Gli è rimasto il gusto della provocazione. Alla vigilia della partita, quando gli chiedevano il peso dell'assenza di Ibrahimovic, Mou si è lasciato andare a un ghigno: «Non so in che condizioni sarà Eto'o, Ramires è squalificato e non posso utilizzare Matic e Salah, che hanno già giocato la Champions con altre squadre. Io non piango. E per una squadra come il Psg, che ha speso un sacco di soldi e ha Cavani, l'assenza di Ibrahimovic non può essere un problema». Lo è stato. E Mou lo sapeva benissimo.

All'ingresso di Torres in campo - il terzo centravanti - è andato verso la panchina del Psg e si è messo a parlare con Claude Makelele, che è stato suo giocatore al Chelsea e adesso è uno degli aiutanti di Blanc: «Può finire 1-1, ma magari anche 2-0. Di sicuro non finisce 1-0». Blanc avrebbe voluto strangolarlo.

Il successo di martedì sera, però, ha un risvolto diverso dal solito. Mou ha vinto spesso e volentieri spendendo tantissimo. In Inghilterra lo prendevano in giro, storpiando il nome del Chelsea in Chelski, riferendosi ai fiumi di danaro spesi da Roman Abramovich. Il Mourinho attuale può ancora comprare (Hazard) ma deve anche vendere (Mata).

mourinho chelseamourinho chelsea

Blanc può comprare e basta. Ecco perché averlo battuto è una soddisfazione in più.
Ma la soddisfazione vera, quella dei sogni, è vincere la Champions League una terza volta. Dopo Porto e Inter, con il Chelsea. Se l'ha conquistata Di Matteo, come è possibile che non ci riesca lui? Questo è il paragone che lo tormenta. Anche se non lo confesserà mai.

2. JOSÈ E LA VITTORIA - QUEL DESIDERIO CHE LO RENDE UNICO
Aldo Grasso per ‘Il Corriere della Sera'

Josè Mourinho è il McLuhan dei nostri giorni, un grande della comunicazione. A differenza dello studioso canadese, lo Special One non è un teorico, meglio è uno che fa della pratica la sua teoria. Dopo il gol segnato da Demba Ba, l'esultanza e la corsa dell'allenatore verso il grappolo dei giocatori che festeggiavano la qualificazione è qualcosa che resterà nella bacheca dei grandi gesti comunicativi.

Ai commentatori sportivi presenti allo Stamford Bridge, la corsa di Josè ha ricordato quella che fece nel 2004 all'Old Trafford, superando il Manchester United a un minuto dall'eliminazione negli ottavi di finale, andando poi a vincere il trofeo con il Porto. Ma l'altra sera c'era qualcosa di più. Nel dopopartita Mou si è schermito: «Sono corso lì per dare loro istruzioni, per dire a Torres chi e dove marcare, per chiedere a Ba di tornare indietro e difendere, per approfittare di quel momento in cui li avevo quasi tutti insieme, pronti ad ascoltarmi, e ammonirli che c'erano ancora 3 minuti di tempi regolamentari e 3 o 4 di supplementari.

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Il match non era finito e dovevano ancora lottare». Certo, parlava ai giocatori, parlava al pubblico, parlava ai media di tutto il mondo. Per dire cosa? Che lui è davvero il più speciale di tutti: discusso, controverso, anche antipatico ma vincente, capace di fare gruppo e imprimere una mentalità unica ai suoi giocatori. Da tutti, anche dai più scarsi, sa trarre il meglio: l'Inter ne sa qualcosa (pare persino che, nove mesi dopo il Triplete, si sia registrato fra i tifosi nerazzurri un incremento delle nascite; li chiamano «i figli di Mourinho»).

Martedì sera, per vincere, e prima ancora per convincere i suoi, ha mandato in campo tutti gli attaccanti che aveva, fintamente incurante di ogni disposizione tattica. Ma è il McLuhan che è in lui che ci interessa. Oggi, chi non sa comunicare non è nessuno, è la legge dei tempi. Papa Francesco è un grande comunicatore, Obama è stato un grande comunicatore (adesso pare aver esaurito la carica innovativa), Putin, a suo modo, da machista, sa comunicare (l'Ucraina insegna), persino Matteo Renzi fonda tutta la sua carica di rottura sulla comunicazione. Sono almeno dieci anni che Mou è un leader totale, perché non comunica solo calcio. È un guru, un santone, un filosofo. In quanto tale, uno che vive di concetti, che ha trasformato le conferenze stampa in sue conferenze e la partita di calcio in un esempio virtuoso. Ma le sue vere lezioni non sono quelle che impartisce a voce; lì vince facile.

Davanti a lui, i giornalisti sembrano intimoriti, pongono le domande con mille cautele e la sua mala educaciòn diventa una virtù. È ben preparato, non si fa turbare dagli imprevisti: «Se i giornalisti mi odiano non è un problema mio». Come sostiene Sandro Modeo nel libro «L'alieno Mourinho», l'allenatore ha invertito l'intuizione di Chesterton: non è vero che «il modo migliore per amare qualcosa o qualcuno è pensare che si potrebbe perderlo», ma «il modo migliore per farsi amare è far pensare agli altri che potrebbero perderci». Che poi è la capacità di «proiettare l'ombra del rimpianto quando ancora si sta procedendo verso il futuro», trasformando questo rimpianto nella massima motivazione dei giocatori.

A differenza dei grandi leader carismatici, Mou è antipatico (in passato l'ho anche scritto), uno sbruffone, un demiurgo intollerante, ma è il primo che ha capito che il calcio è spettacolo globale, «larger than life», e che i desideri si realizzano a prezzo di una determinazione totale. Ecco, lo Special One comunica il desiderio di vittoria, un sentimento che una cultura benestante, compiaciuta, politicamente corretta sembra aver dimenticato.

 

 

 

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