Mattia Chiusano per “la Repubblica”
«Fa male» ammette Davide Mazzanti, e bastano due parole dell'uomo, prima che del ct, per far capire questa notte amara del volley italiano. Il movimento che ha vinto con i giovani debuttanti di De Giorgi, e perso con star molto più mediatiche e acclamate alla vigilia, a partire da Paola Egonu che non si sa se racchiudere nei 30 punti conquistati o nei 16 errori in attacco.
Una costante, quella degli errori che si quantificano in 21 punti regalati contro i 13 delle avversarie. Contro un Brasile da lavori in corso, perché questo sarebbe un cantiere secondo il suo ct Zé Roberto, niente a che vedere con quello che vedremo a Parigi. Ma forse è più sincero Mazzanti, quasi stralunato dopo una partita che sapeva difficile, già persa nel girone (e allora sembrò quasi un'onta cedere al tie-break), ma non tanto difficile da trasformarsi in un incubo, con le brasiliane a sgasare ogni volta e le azzurre imballate prima di ingranare, e spuntarla qualche volta, come successo nel secondo set.
«Volevamo una partita punto a punto» continua Mazzanti, «ma è uscito un confronto in cui ci siamo trovati sempre a inseguire, più disordinati del solito, e questa sensazione ce la siamo portata dietro fino alla fine. Ci potevamo convivere, ma abbiamo sprecato l'occasione di vincere il terzo set e questo ha condizionato tutto il resto. Abbiamo lasciato tante energie in quel momento, ma nella fatica avremmo potuto fare qualcosa di diverso».
Già, il problema non è il Brasile, quasi perfetto, che ora si prepara alla finale con la Serbia avendo lasciato a casa tre potenziali campionesse, una perché doveva studiare negli Stati Uniti, un'altra perché doveva sottoporsi a chirurgia estetica.
Cosa poteva fare Gabi lo sapevano tutte, come la capacità di murare le schiacciate di Carol è una calamità prevista, quindi gestibile. Quel che non è gestibile è quel che Anna Danesi sintetizza così: «Non siamo state noi, non siamo mai riuscite ad esprimerci come volevamo».
Una squadra che sembrava avere tutto per ripetere quantomeno l'argento di quattro anni fa, non rinnovata come la Serbia arrivata di nuovo in finale, non arrangiata come il Brasile di Zé Roberto che nei quarti ha dovuto fare un gioco di prestigio per non essere eliminato dal Giappone. Una squadra che seguiva una crescita costante, senza stravolgimenti, uscita vincente dagli Europei e dominatrice dalla Nations League.
Una squadra che voleva liberarsi delle ombre di Tokyo, dell'Olimpiade spenta all'improvviso, e che ora si ritrova una piccola Tokyo da affrontare e superare. A partire da domani nella finale per il bronzo, ma soprattutto a Parigi 2024, un'autentica prova del fuoco per consegnare alla storia un giudizio definitivo su un gruppo che in certi momenti abbaglia per la bellezza, a partire dai colpi e dal carisma di Paola Egonu. Ma poi, avvicinandosi troppo al sole, qualche volta si brucia.