Marco Gasperetti per corriere.it
Il tempo stava per scadere. Dieci minuti appena, forse qualcosa di più, e Alex Zanardi non ce l'avrebbe fatta, sarebbe morto. Certamente molto meno della «golden hour», il limite di tempo massimo per salvare la vita di una persona nella chirurgia di emergenza. La salvezza à arrivata dal cielo.
Su quell'elicottero, il «Pegaso 2», c'era Robusto Biagioni, medico di emergenza e responsabile del 118 della zona di Grosseto. Quarant' anni di professione di cui trenta di medicina di emergenza ed elisoccorso. Biagioni racconta quel venerdì doppiamente nero perché Zanardi non era solo un paziente.
«Lo avevo incontrato più volte, una persona eccezionale - ricorda ancora con commozione -. Veniva a trovare gli amici del 118. Ci diceva che facevamo un lavoro straordinario. Me lo sono trovato davanti in quelle condizioni ed è stato duro mantenere calma e distacco indispensabili perché un medico riesca ad agire nel modo migliore. Poi, quando finalmente lo abbiamo stabilizzato e trasportato al Policlinico Le Scotte, mi sono emozionato. Ero emotivamente provato».
Ci racconta i momenti più delicati di quel venerdì nero?
«Siamo decollati da Grosseto alle 16.56. A bordo eravamo in sei: due piloti, un tecnico, un operatore del Soccorso alpino, un infermiere e io».
Quanto è durato il vostro volo?
«Siamo atterrati a Pienza alle 17.20. L'operatore del Soccorso alpino è stato utilissimo. Siamo atterrati in un campo e abbiamo dovuto attraversare un piccolo bosco, molto fitto, e l'esperto ci guidava spezzando i rami sul nostro cammino e trovando la giusta direzione».
niccolò zanardi e alex zanardi
Correvate?
«Passo svelto. Troppo pericoloso correre in quella situazione con gli zaini e gli strumenti medici. Se si cade ci si può fare male e rendere vano il soccorso».
Quanto avete impiegato ad arrivare sul luogo dell'incidente?
«Non più di quattro, o cinque minuti al massimo. Alex Zanardi era sul bordo della strada supino. Lo stava assistendo Cristina La Cava, la dottoressa dell'ambulanza che aveva già iniziato, per fortuna, a fare quanto necessario in quelle condizioni per stabilizzarlo».
In che condizioni era Zanardi?
«Gravissime, purtroppo. In quelle condizioni poteva resistere pochi minuti soltanto. La mia collega lo aveva trovato in uno stato comatoso, con momenti di agitazione. Muoveva le braccia in modo sconnesso, urlava. Il volto era devastato dalle tante fratture. Ma quello che ci preoccupava di più in quel momento era la lesione, molto grave, che dall'occhio destro si allungava su tutta la faccia. Poi aveva altre lesioni alla testa».
Aveva mai visto una situazione così grave?
«Sono intervenuto su casi persino peggiori e a volte si sono risolti positivamente anche contro le nostre previsioni. Ecco perché sono convinto che ci siano buone speranze che Alex ce la possa fare, considerato anche che è un atleta e ha una voglia di vivere e una grinta incredibili».
Qual è stata l'operazione decisiva che ha salvato la vita a Zanardi nella prima fase dell'incidente?
«Certamente il passaggio della cannula tubo fino alla trachea per consentirgli la respirazione artificiale. Non è stato facile perché il volto era devastato dalle fratture. Poi siamo passati alla seconda fase».
Quale?
«Quella del bendaggio di tutta la parte superiore del volto, della testa e la stabilizzazione delle varie fratture che abbiamo riscontrato».
E poi?
«Siamo decollati alle 17.47 e atterrati al Policlinico di Siena alle 18.35, dove ci stavano già aspettando ed erano pronti per iniziare l'intervento chirurgico».
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