“IO E CABRINI STAVAMO INSIEME, MA PER FORTUNA IO FACEVO LA PARTE DELL'UOMO” – PAOLO ROSSI, CAMPIONE (ANCHE) DI IRONIA, RISPOSE COSÌ ALLE VOCI SULLA LOVE STORY CON IL BELL’ANTONIO - PRIMA DI DIVENTARE L'EROE DI MADRID, PABLITO ERA STATO SQUALIFICATO PER IL CALCIOSCOMMESSE. DA INNOCENTE –“SERVIVA UN CAPRO ESPIATORIO, COLPENDO L'EMBLEMA DEL CALCIO ITALIANO SI CHIUDEVA LA BOCCA A TUTTI COLORO CHE PRETENDEVANO LA PULIZIA DELL'AMBIENTE” – ECCCO COSA SUCCESSE QUANDO TORNO’ IN BRASILE NEL 1989 - VIDEO

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Antonello Piroso per la Verità

 

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«Paolo Rossi? Fratello?». Era la notte della finale dei Mondiali di Spagna, nel 1982.L'Italia aveva battuto la Germania con i gol di Rossi-Tardelli-Altobelli. Pablito aveva vinto il titolo di capocannoniere con 6 reti, a scalare: tripletta al Brasile, doppietta alla Polonia, una appunto

 

Ai tedeschi.

 

La Nazione intera aveva perso ogni freno inibitorio, e si era ritrovata assembrata - diremmo oggi - in un'unica, enorme piazza. E... stop. Anche «basta» con la retorica patriottarda, l'amarcord con l'occhio umido, il necrologio condito con la sociologia e la storia da piazzisti della riflessione («Venivamo fuori, ancora ragazzi, da anni di terrorismo, paura, infelicità»: è l'inizio di un tweet standard, alla fiera dell'ovvio dei popoli), che in occasioni come queste deflagrano a livello mediatico.

 

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Ecco perché, memore anche di quanto scritto dal campione nell'incipit della sua autobiografia del 2002 («Non vivo nel ricordo, non ho nostalgia, non ho malinconie»), ora che è morto all'età di 64 anni sconfitto da un tumore, preferisco raccontarlo partendo dal dopo quel match, con la disavventura capitata all'omonimo Paolo Rossi, il comico. Che, insieme a un amico con cui si era gustato la partita in tv, in una serata euforica anche per via dell'alcol e dell'«erba spinella» (il racconto sul palco era dello stesso artista), viene fermato dai carabinieri, a bordo della sua utilitaria, mentre sta festeggiando per strada con i milanesi tutti.

 

I militi chiedono i documenti, e ritrovandosi in mano la patente su cui leggono «Paolo Rossi», guardano il guidatore, poi di nuovo la foto sul documento, e infine chiedono: «Paolo Rossi? Fratello?...». A quel punto il teatro esplodeva in una risata corale, per quell'epilogo da «barzelletta sui carabinieri», che in seguito fece ridere lo stesso calciatore.

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Il Paolo Rossi che invece aveva fatto piangere il Brasile, come da titolo dell'opera citata, in cui si mette a nudo vent' anni dopo l'evento, «ritrovata l'intimità interiore». Perché fu quell'incontro con la squadra verdeoro, il 5 luglio (prima ancora della conquista della Coppa, avvenuta l'11) a fare da spartiacque nella sua vita e nella sua carriera.

 

«Sarà una festa da ricordare, della quale ancora parleranno quando saranno trascorsi molti anni e i suoi principali protagonisti saranno ormai solo nomi legati alla mitologia del calcio», dirà il 7 luglio, a botta ancora calda, il premio Nobel per la letteratura Mario Vargas Llosa, peruviano naturalizzato spagnolo (se volete approfondire la storia di quell'epico incontro, vi rimando volentieri alle 600 pagine di ricostruzione dettagliata del prima, durante e dopo di Piero Tellini La partita: il romanzo di Italia-Brasile).

 

PAOLO ROSSI MARCO TARDELLI ANTONIO CABRINI GAETANO SCIREA MICHEL PLATINI PAOLO ROSSI MARCO TARDELLI ANTONIO CABRINI GAETANO SCIREA MICHEL PLATINI

Chiariamo intanto un punto: Rossi non diventa Pablito in Spagna, ma addirittura prima dei Mondiali di Argentina del 1978.Convocato tra gli azzurri dal c.t. Enzo Bearzot per due amichevoli preparatorie, con il Belgio e la Spagna, non segnò (come invece stava facendo in campionato con il Vicenza) ma convinse tutti, perfino il selezionatore delle furie rosse Lazlo Kubala: «Me gustò muchissimo Rossi». Sul volo di ritorno da Madrid, Giorgio Lago - allora capo dello sport al Gazzettino - seduto vicino a Piero Dardanello, direttore di Tuttosport, e a Sandro Ciotti, voce della Rai, commenta: «L'Italia ha trovato il suo centravanti per il Mondiale, d'ora in poi possiamo chiamarlo Pablito».

 

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E così sarà, ben oltre i tornei del '78 e dell'82. Anno in cui gettò un Paese intero nell'incubo, e questo davvero senza esagerazioni. La dimensione della tragedia collettiva sta tutta nell'immagine, oggi la definiremmo «iconica», di un bambino di 10 anni che piange, con addosso la maglietta del Brasile in tribuna allo stadio, immortalato dal pluripremiato fotoreporter Reginaldo Manente, anche lui brasiliano tra le lacrime per la sconfitta, il quale distoglie lo sguardo dal campo, vede e scatta. Così il primo giornale a uscire in Sudamerica, il Jornal da tarde di San Paolo, avrà quella foto a tutta pagina, con una semplice didascalia come epitaffio: «Barcelona, 5 de julho de 1982».

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Racconterà Pablito: «Quando nel 1989 sono tornato in Brasile per partecipare alla Coppa Pelè, una specie di Mondiale per over 34, mi sono ritrovato in uno stadio con 35.000 persone che mi urlavano qualunque cosa, perché per loro ero O carrasco do Brasil, il boia del Brasile. Non potevo avvicinarmi alla linea laterale perché mi tiravano di tutto: noccoline, bucce di banana, monetine. Tanto che, all'intervallo, ho deciso di non rientrare per il secondo tempo».

 

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E dire che la competizione dell'82 non era iniziata benissimo per l'Italia, tanto da indurre tecnico e atleti a trincerarsi in un coriaceo silenzio stampa viste le critiche che si abbattevano sulla squadra e le sue prestazioni. Con un sovrappiù che riguardava proprio Rossi, portato in Spagna dopo aver ripreso a giocare in campionato solo da poco, vista la squalifica di tre anni, ridotta poi a due, che gli era stata inflitta per il suo coinvolgimento nel calcioscommesse del 1980.

 

Rossi fu accusato di aver intascato 2.000.000 di lire dell'epoca (oggi sarebbero 4.000 euro) per partecipare alla combine che blindava il pareggio tra Avellino e Perugia, in cui al momento militava. Unica condizione che Rossi avrebbe posto: «Devo segnare una doppietta», cosa che in effetti avvenne.

 

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Al processo ci fu un confronto tra Massimo Cruciani, l'organizzatore del «Totonero», e lo stesso Rossi. Cruciani: «C'incontrammo prima della partita e si parlò in termini chiarissimi, io mi resi garante che l'Avellino avrebbe consentito le due reti. Rossi allora si rivolse al suo compagno di squadra Della Martira dicendogli: Mauro, fai tu, per me va bene». A distanza di anni, Rossi ancora non si capacitava: «A Della Martira, reo confesso (di aver preso gli 8 milioni da smistare a 4 giocatori del Perugia, di cui appunto 2 a Rossi, ndr) 5 anni, e a me 3? E quelli dell'Avellino? Tutti assolti!».

 

Comunque la si pensi, valgono le dichiarazioni successivamente messe agli atti da Cesare Bartolucci, complice di Cruciani: «Rossi non c'entrava nulla, non ha preso una lira», e da Fabrizio Corti, il contabile della banda di cui gestiva il libro mastro. Torchiato da Oliviero Beha e Roberto Chiodi per il settimanale Epoca, nel 1985 Corti confesserà:

PAOLO ROSSI SCOMMESSE 1 PAOLO ROSSI SCOMMESSE 1

 

«Rossi era innocente. Ho avuto la colpa di dar retta a Cruciani, che alla fine lo ammise pure lui: aveva messo in mezzo Rossi perché serviva (un capro espiatorio, ndr), colpendo l'emblema del calcio italiano si chiudeva la bocca a tutti coloro che pretendevano la pulizia dell'ambiente. Cruciani staccò un solo assegno di 8 milioni a favore di Della Martira. Le due reti Rossi le segnò non perché d'accordo, ma solo perché era in forma, perché era... Paolo Rossi».

 

Capace di resuscitare dalle sue ceneri, autoironico (quando gli fu riferito il gossip sulla sua presunta «affettuosa amicizia», non solo di spogliatoio, con Antonio Cabrini, Rossi commentò, adeguandosi al livello: «Sì, stavamo insieme, ma per fortuna io facevo la parte dell'uomo»), era una persona di grande sensibilità.

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La conferma l'ho trovata nelle sue parole dopo la fine del match con la Germania: «Eravamo campioni del mondo. Feci solo mezzo giro di campo coi compagni: ero distrutto. Mi sedetti su un tabellone a guardare la folla entusiasta e mi emozionai. Ma dentro sentivo un fondo di amarezza. Pensavo: fermate il tempo, non può essere già finita, non vivrò più certi momenti. E capii che la felicità, quella vera, dura solo attimi». Attimi che talvolta valgono una vita intera.

 

 

 

 

 

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