Giulia Zonca per "La Stampa"
Mauro Bellugi se ne va con una finta. Dopo averci detto che niente lo avrebbe fermato muore devastato dal Covid, ma non ci ha affatto preso in giro: nulla gli ha impedito di godersi ogni giorno della sua vita, nulla. Ha «fatto lo splendido», espressione che adorava, per l'intera esistenza e la fine straziante, la malattia che lo ha portato via un pezzo alla volta, non è riuscita a cambiarlo. Bellugi era proprio stopper nell'anima, un ruolo da nobiltà decaduta che ora quasi suona come un insulto, ma ha fatto la storia del calcio e lui lo ha portato benissimo in tutte le squadre dove ha giocato, soprattutto nell'Inter con cui ha vinto uno scudetto nel 1971 e poi al Bologna dove è andato in cerca di riscatto dopo essere stato bollato come «viveur».
Allora rifiutava l'etichetta, ma dopo il ritiro l'ha rilanciata, in effetti era quello che sa stare bene ed è proprio l'eredità che lascia: mai sprecare i giorni in lamenti, mai abbandonarsi alla noia. Ci fa sapere anche che il Covid è subdolo, che si prende pure quelli che non vogliono arrendersi. Già, non è un'esclusiva di questo particolare coronavirus e si farebbe un grandissimo torto a Bellugi con la retorica della battaglia persa.
La malattia non si può vincere, si può solo guarire, verbo che sposta di molto il centro dell'azione. Nelle vittorie ci si impone, nelle guarigioni ci si affida. Bellugi perdeva forza a ogni ora, era stanco, solo che si è tenuto stretto la persona che era fino all'ultimo. E la vena di leggerezza non è neppure diventata acida. Non ha potuto sbattere fuori il male però di sicuro ha tenuto alla larga il sarcasmo. Quindi la travolgente nostalgia che scatena la sua storia non lascia solo amarezza.
Anzi continuerà a parlarci di lui, del calciatore per cui il sorriso contava quanto il pallone. In campo era una garanzia, una rogna per ogni avversario, uno che non ha mai tirato indietro la gamba e l'espressione non è una gaffe, ma un omaggio all'autoironia di un grande ex calciatore ed eterno battutista. Le gambe gli sono state amputate entrambe a novembre, sembrava l'unica via per la salvezza e lui, da bravo stopperone che conosce il mestiere, l'ha presa bloccando l'angoscia: «Mi levate anche la destra? Ci ho segnato il gol al Borussia Moenchengladbach».
Sapeva bene quanto sarebbe stata difficile la riabilitazione a 71 anni, non negava la realtà solo che voleva gestirla a modo suo. Ha preso l'esempio di Zanardi e valeva doppio, perché Zanardi senza gambe non ha smesso di andare veloce e pure perché lo sapeva in un letto d'ospedale a resistere. Come lui. Vagheggiava di sfidare Pistorius con le protesi. Pistorius è in galera e lui non credeva affatto di rimettersi a correre, non cercava coerenza, solo coraggio.
Proprio come la notte in cui ha realizzato il famoso gol in Coppa dei Campioni, l'unico della carriera. Una serata a gomiti alti e ad alto livello di pericolo: siamo al 20 ottobre del 1971 e non è la partita gioiello di Bellugi, è l'antefatto che lui non gioca nemmeno. La sua Inter, in Germania, perde 7-2: smette di impegnarsi quando una lattina colpisce in testa Boninsegna. Sono tutti convinti di vincere a tavolino, la pratica però diventa una disputa legale che dà ragione ai nerazzurri solo in tribunale e crea una situazione rovente.
Qui entra in scena Bellugi, proprio il tipo che può scegliere una sfida elettrica per un gol che non ha mai visto prima e non ripeterà più. È sempre stato quello che sdrammatizza, gli riusciva anche da ospite fisso nella più vivace stagione delle tv private che solo per lui non è finita mai. Merito della sua verve educata. Si porterà dietro in eterno la rete contro il Moenchengladbach insieme con il memorabile successo dell'Italia a Wembley, nella fortezza inglese profanata da una rete di Capello e grazie a una gigantesca prova della difesa.
Lì in mezzo c'era Bellugi. Quando ha capito che il Covid lo stava fiaccando avrà cercato l'ebrezza di certi risultati per sentirsi capace di qualsiasi cosa. Di sicuro ha cercato sempre la voce della moglie Loredana, Lory, con cui ha «fatto lo splendido» per tanti anni. Ai tempi nerazzurri dissero che fu ceduto per una battuta della moglie: lui finisce in panchina e lei dice «me lo compro io e lo faccio giocare in giardino». Lei se lo poteva permettere e lui non aveva intenzione di sentirsi in colpa per le sue priorità. Al primo posto la bella vita e non ha mai voluto dire essere superficiale, piuttosto essere attento a moltiplicare la felicità, a inseguirla e stanarla persino quando il mondo sta per finire.
Mauro Bellugi Mauro Bellugi mauro-bellugi-amputazione-638x425