Mario Sconcerti per il Corriere della Sera
Il primo problema è che noi continuiamo a parlare di Milan e Inter con la stessa mentalità di quando c' erano Moratti e Berlusconi. È un errore che sento anch' io profondamente dentro.
Fino a ieri un imprenditore prendeva l' Inter o il Milan per essere coinvolto in modo potente nella vita e nelle decisioni della città. Oggi si prendono Inter o Milan per farci un guadagno da qualche parte del pianeta. Non so quanto interessi la piazza, né so in quale Paese sia la piazza.
In poche parole, sta mancando la vecchia possibilità di ricatto morale del calcio, tu spendi, io ti celebro. Altrimenti mi vendico. La piazza e le società per la prima volta sono due cose diverse. Nel mezzo il mercato funziona come grande cassa di compensazione. È un eterno rinvio, una continua promessa senza basi: oggi va male, ma lavoriamo già per domani. Avete qualche consiglio? E con questo aspettiamo la prossima pausa. Ma l' idea è che nell' incapacità di Milano contino anche le cattive abitudini della sua gente. Non c' è niente che dia diritto a nessuno di vincere. Quello che ha ottenuto Milano sono belle abitudini date da due grandi famiglie, forse tre (Moratti, Berlusconi, Rizzoli).
Molte altre sono state soddisfazioni parziali o delusioni vere. Il Milan è stato 50 anni senza vincere uno scudetto, i suoi tifosi erano casciavit non per niente. Erano poveri reali. Ora siamo tutti delusi perché tre famiglie (tre) ci hanno abituato bene. Non funziona così, non funziona chiedendo solo soldi ai padroni. Funziona sapendo aspettare, sapendo soffrire e cercando di avere competenza comune. Non c' è una città eletta, questo è uno sport.
Ognuno deve saper conquistare qualcosa partendo alla pari. Esattamente quello che oggi Milano non vuole, partire alla pari. E non capire che i cinesi oggi pagano gli sforzi delle famiglie milanesi di ieri, gli scudetti e le Champions, la nostra totale differenza, la loro scomparsa dal calcio.
La colpa è di tutti, di Bacca che non segna e di Pioli che non si riconosce più. Ma soprattutto di Milano che non ha mosso un dito per tenersi il suo calcio elitario, il suo simbolo di differenza. Oggi Milano sta a guardare, si lamenta e pensa solo con i soldi degli altri. È troppo facile così, di chiunque siano i soldi degli altri. E soprattutto non è da Milano.
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