LUDOPATICI NEL PALLONE - LA DIPENDENZA DALLE SCOMMESSE DI FAGIOLI E TONALI NON DOVREBBE SORPRENDERE: DIVERSI STUDI DIMOSTRANO CHE, MENTRE IL RISCHIO DI SVILUPPARE LUDOPATIA INTERESSA LO 0,8% DEI CITTADINI EUROPEI, LA PERCENTUALE SALE ALMENO AL 13% TRA I CALCIATORI - LA TESTIMONIANZA DI UN GIOCATORE DI PREMIER LEAGUE: "SI GIOCA IN OGNI MOMENTO, CARTE, SLOT, CAVALLI E OVVIAMENTE LE PARTITE" - I MOTIVI SONO VARI: TROPPI SOLDI DA GIOVANI, LA PRESSIONE, MA ANCHE...

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Estratto dell'articolo di Marco Bonarrigo per il "Corriere della Sera"

 

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Ci sono tre comunità scientifiche dove le rivelazioni sulla dipendenza patologica dalle scommesse di Nicolò Fagioli e Sandro Tonali […] non destano nessuna sorpresa: i Dipartimenti di Neuroscienze del Karolinska Institutet di Stoccolma […], di Psichiatria dell’Università di Oxford e di Psicologia dell’Imperial College di Londra.

 

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In questi celebri poli di ricerca sono stati elaborati i più importanti tra gli oltre 500 studi […]: se il rischio di sviluppare ludopatia interessa 0,5/0,8 cittadini europei su 100, la percentuale sale almeno al 13% tra i calciatori professionisti. Un problema spiegato da uno dei calciatori di Premier League che ha accettato il confronto con gli studiosi inglesi: «Scommettere mi dava lo stesso entusiasmo, la stessa eccitazione del gol o della vittoria. Un brivido a cui potevo accedere senza limiti e che mi ha tolto ogni freno».

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Le ragioni della ludopatia nei calciatori di alto livello non sono così ovvie. Non ci sono evidenze, ad esempio, sul fatto che le sponsorizzazioni di aziende del settore scommesse alle squadre di calcio e la loro pubblicità (proibite in Italia dal Decreto Dignità) influiscano sulla patologia, normalizzando l’azzardo. […]

 

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A creare influenza e pressioni è piuttosto «una chiara sottocultura del gioco d’azzardo» all’interno di alcune squadre che ad esempio «favorisce l’accesso a partite di poker ad alte poste in gioco e scommesse sulle corse di cavalli… e dove la partecipazione alle attività d’azzardo appare positiva per lo spirito di squadra, normalizzando le scommesse pesanti e facendole sembrare “la cosa giusta da fare”». Questa tendenza, dicono gli esperti, sarebbe cresciuta moltissimo durante l’isolamento da Covid.

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I calciatori ricalcano il profilo dello scommettitore tipo: maschi, età inferiore ai 35 anni, livello di istruzione medio-basso, assenza di famiglia e responsabilità collegate. La seconda ragione è che l’azzardo, come spiega un altro calciatore in terapia, «risuona all’orecchio in ogni momento, dalle pause di allenamento ai voli aerei. […]».

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Pesano molto la solitudine del calciatore […] ma anche «i conflitti emotivi derivanti da una carriera professionale sempre più competitiva, le pressioni e i giudizi dei social media, la paura di infortuni che mettono a rischio la carriera e creano tensioni emotive» oltre ovviamente a disponibilità finanziarie importanti […]

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Gli psicologi danno al fenomeno anche un’altra interpretazione: alcuni calciatori interiorizzano una competitività sempre maggiore che emerge nei momenti di riposo e le scommesse sportive — in cui l’azzardo viene confuso come abilità personale — sostituiscono l’adrenalina del match. Insomma, un modo pericoloso di colmare i vuoti, le pause tra allenamenti e partite che una volta erano dedicate alla socializzazione.

 

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La soluzione riguarda direttamente i club che devono lavorare alla prevenzione di un problema che si manifesta già a 16 anni, alla firma dei primi contratti su soggetti anagraficamente fragili che entrano in contatto con un ambiente che par loro leggendario: sradicare la cultura dell’azzardo all’interno dello spogliatoio, aiutare i giocatori a gestire il loro tempo libero, ingaggiare specialisti che individuino il disagio ai primi segnali e lo curino tenendo conto di un’altra evidenza scientifica emersa: anche nell’entourage tecnico dei club si scommette molto.

[…]

 

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