IL LUNGO ADDIO DI FEDERER – “QUALCUNO MI AVREBBE VOLUTO PIÙ CATTIVO, MA COSA DOVEVO FARE, GRUGNIRE DI PIÙ? NON SARÒ UN FANTASMA, MI RIVEDRETE IN ALTRE VESTI” – "KING ROGER" CHIUDERÀ IN DOPPIO CON NADAL, L’AVVERSARIO STORICO: “SONO FELICE DI QUESTA DECISIONE. TUTTI DEVONO LASCIARE, PRIMA O POI. MI MANCHERÀ COMPETERE, MA NON RIMPIANGERÒ LA ROUTINE. LA COSA DI CUI VADO PIU’ FIERO E’ LA…” 

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Stefano Semeraro per la Stampa

 

federer l'equipe federer l'equipe

È stato un Lungo Addio, durato in realtà tre anni dopo quella finale lasciata a Djokovic sul Centre Court di Wimbledon, e nella sala conferenze grigio antracite della Laver Cup l’atmosfera era un filo funebre - facce serie, domande compite, il rito civile e un po’ imbalsamato dell’addio alle gare di uno dei più grandi sportivi di sempre.

 

Per fortuna ci ha pensato Roger Federer in persona, polo bianca e maniche della giacca blu nervosamente rimboccate, a estrarsi dall’avello. A spiegarci che ci sarà comunque un Federer dopo il Federer che abbiamo conosciuto. E in carne e ossa.

 

«Non sarò un fantasma», ha spiegato, a parziale consolazione dei milioni di fan in gramaglie dal giorno del suo annuncio su Twitter. «È buffo, perché ne ho parlato qui con Bjorn Borg. Dopo il ritiro lui non si è fatto vedere a Wimbledon per 25 anni: capisco le sue ragioni, ma è una cosa che fa male agli appassionati. Io non sono fatto così. Il tennis mi ha dato tanto, voglio che tutti sappiate che non so ancora in che veste, ma mi rivedrete». Inutile immaginarlo coach o capitano di Davis, piuttosto manager e uomo d’affari, comunque impeccabilmente elegante.

 

ROGER FEDERER ROGER FEDERER

L’ultima epifania in t-shirt e calzoncini sarà quasi certamente domani sera nella Ryder Cup del tennis, inevitabilmente a fianco di Rafa Nadal, da sabato nella squadra europea capitanata da Borg toccherà a Matteo Berrettini. «Abbiamo lottato tanto sul campo, rispettandoci sempre, le nostre famiglie e i nostri team sono sempre andati d’accordo, se capiterà sarà un momento unico.

 

Ho chiesto il permesso di giocare solo un match a Bjorn, e lui ha avuto l’ok di McEnroe (il capitano del Resto del Mondo, ndr) non volevo creare problemi ma conosco i miei limiti». Quelli imposti da tre operazioni al ginocchio destro, che lo hanno condannato a un limbo di un anno e mezzo dopo il primo tentativo di rientro e il dolorosissimo, definitivo 6-0 rimediato l’anno scorso a Wimbledon contro Hurkacz. «Una delle ore più brutte della mia vita. Tutto il rientro è stato duro, ero molto lontano dal 100 per cento della condizione. La riabilitazione è stata facile, ma mi spaventavano le operazioni: sapevo che potevano rappresentare la fine della mia carriera».

ROGER FEDERER ROGER FEDERER

 

La certezza è arrivata a luglio, di rientro dalle celebrazioni per i 100 anni del Centre Court. «Fino ad allora avevo sperato di poter tornare nel 2023, ma il ginocchio non migliorava. Sono andato in vacanza e non ne ho parlato con nessuno, mi sono solo divertito con la famiglia e gli amici, ma avevo già deciso. Ero ad un bivio e non mi andava di rischiare di più. Al ritorno mi sono seduto con il mio team per decidere dove, come e quando».

 

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Il dove forse non poteva essere che Londra, la città dei suoi otto Wimbledon e delle sei vittorie alle Finals («un posto speciale»), il quando a debita distanza dall’addio di Serena Williams.

 

Il come, a partire da oggi, avrà i contorni di un party, non di un funerale: «Non volevo che tutti fossero tristi, io sono felice di questa decisione. Tutti devono lasciare, prima o poi. Mi mancherà competere, ma non rimpiangerò la routine: aggiustarmi la bandana, i nodi allo stomaco prima di un match».

 

Fare una classifica dei tantissimi momenti più belli non è banale («la prima vittoria a Wimbledon, quella al Roland Garros, il ritorno con la vittoria in Australia del 2017…»), i rimpianti stanno quasi a zero: «Ci sono state sconfitte dure da digerire, ma ora mi accorgo che ricordo soprattutto le vittorie. E vivo felice anche senza record.

 

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La cosa di cui sono più fiero è la longevità: non capivo come avessero fatto Schumacher o Tiger a resistere tanto al vertice, ora faccio parte di quel club. Da giovane ero incostante, se i miei coach mi avessero represso forse non sarei durato così a lungo.

 

Qualcuno mi avrebbe voluto più cattivo, ma cosa dovevo fare, grugnire di più? Ci ho provato, ma era una recita. Quindi sono rimasto me stesso». Resta il futuro: non suo, del tennis. «Sarà brillante. Alcaraz è straordinario, peccato non averlo mai incontrato. Non vedo bene il Serve & volley, ma la nuova generazione - Medvedev, Zverev, Tsitsipas, Rublev - è forte. Giocheranno un tennis più atletico, comunque eccitante. E io sarò il loro primo fan». Sempre caro, ma non estinto.

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