PRANDELLI D’ITALIA: LA PICCOLA ITALIA MAZZIATA DAL BRASILE ED ESALTATA COME “EROICA” DALLA STAMPA

Quando Valcareggi prese 4 gol dal Brasile, nella finale Mondiale del 1970, fu accolto con i pomodori - Oggi invece il tracollo azzurro viene applaudito: è l’Italia che, rassegnata alla difficoltà di restare grande, si accontenta dello sforzo di provarci - Altro che “cuore e passione”: i limiti della Nazionale sono enormi…

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arco Ansaldo per "la Stampa"

italia brasileitalia brasile CESARE PRANDELLI A RIO DE JANEIRO FOTO LA PRESSECESARE PRANDELLI A RIO DE JANEIRO FOTO LA PRESSE

L'Italia era venuta alla Confederations Cup per trovare le risposte nel gioco e le trova nel coraggio, o qualcosa di simile. Dall'epico successo sui terribili giapponesi all'eroica riscossa contro i maestri brasiliani, due partite in buona parte sbagliate sono state descritte quasi con il tono dei filmati Luce sulla guerra in Abissinia. L'impostazione non ci convince.

L'immagine della squadra che non molla mai è gratificante quando la si usa «una tantum», se diventa invece un'abitudine nasconde quanto c'è di difettoso al punto da dover sopperire con il cuore e con la buona volontà alle situazioni che in campo si mettono male. Di solito nel calcio i «coraggiosi» fanno simpatia ma alla fine vincono gli altri ed è quanto potrebbe succedere alla Nazionale nella Confederations Cup se nella prossima partita non troverà il modo di far prevalere il gioco e tenere di riserva il carattere. Non viceversa. Il punto più importante tuttavia non è questo.

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Fin dal primo giorno sosteniamo che il torneo brasiliano vale come test per i Mondiali, non è fondamentale dove si arriva ma come si arriva: quale calcio si propone, quale impressione si lascia negli avversari, quali insegnamenti si ricevono sul Paese dove si andrà a giocarsi davvero qualcosa. L'avventura della Confederations serve a questo più che a conquistare una coppa che, chi l'ha vinta, ha fallito l'obiettivo l'anno dopo. L'aspetto su cui riflettere ci pare invece il buonismo rassegnato che circonda la squadra di Prandelli.

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Se con Lippi gli azzurri avessero preso tre gol dai giapponesi tirando via la vittoria non con i denti ma con un'altra parte del corpo, sarebbero stati impallinati. E quando Valcareggi tornò da una finale di Coppa Rimet con quattro gol dal Brasile di Pelè e non di Neymar lo accolsero con i pomodori. Oggi invece i commenti sono molto più benevoli. Si guarda alla bontà della reazione piuttosto che alle mancanze per cui l'Italia ha concesso un'ora di dominio al Giappone e tutto il primo tempo al Brasile.

de scigliode sciglio

L'eccezione, perché i numeri non permettono di farne a meno, sono le critiche alla difesa per i troppi gol che prende ma diventa quasi una giustificazione alla sconfitta: signora mia, non ci sono più i difensori di una volta.

balotelli e kobe bryantbalotelli e kobe bryant

Saremmo felici se si trattasse di una vera rivoluzione del pensiero: il Paese che da sempre drammatizza i risultati ha imparato ad accettarli. Dubitiamo che sia così. Lo stesso Paese continua infatti a scannarsi per mesi per una sconfitta in campionato, dunque non ha mutato pelle. È cambiata invece la percezione della Nazionale. Un po' ci ha anestetizzato Prandelli, che quando lascerà la panchina, dovrebbero assumerlo al governo come «opinion maker».

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Il ct è stato bravissimo a spostare i punti di vista dell'opinione pubblica. Ha creato un modello a 360 gradi. È andato senza difficoltà incontro al gusto che si stava affermando e alla voglia di cambiamento, come fa in politica il suo amico Renzi. A Prandelli si dà fiducia non solo quando i risultati sono dalla sua.

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La Nazionale del dialogo, del rispetto etico, della partecipazione, dell'impegno quasi civile è diventata come la bandiera e la bandiera si rispetta sia quando gioca davvero il calcio diverso che persegue, sia quando dice di farlo ma affonda nell'inconsistenza. L'Italia prandelliana è l'Italia «tout court» che cerca la strada per evolversi ma spesso sbatte contro i propri limiti, che siano la pochezza di un terzino o il livello dello «spread». E, rassegnati alla difficoltà di restare grandi, ci si accontenta dello sforzo di provarci.

 

 

 

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