Aldo Grasso per corriere.it
Il lungo viaggio notturno di Alberto Angela a Milano si è concluso con l’exit dei Promessi sposi, detto da Giancarlo Giannini, a suggellare il sugo di tutta la storia: «La quale, se non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l’ha scritta, e anche un pochino a chi l’ha raccomodata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta» (Rai1). «Stanotte a Milano» è stata una serata evento, un piccolo kolossal prodotto da Rai Cultura, una lussuosa guida turistica per suggerire luoghi realmente comuni, per regalarci itinerari metropolitani suggeriti da toponimi famosi: il Duomo, la Galleria, la Scala, Brera, San Siro, il Castello Sforzesco.
La Stazione centrale, i Navigli, le colonne di San Lorenzo… Milano, diceva con impeccabile maestria Alberto Savinio, è una robusta, onesta stoffa su cui ricamare divagazioni, Milano si presenta come «città tutta pietra in apparenza e dura mentre è morbida di giardini interni». O come ricordava Carlo Emilio Gadda, la città ha due mentalità, una «borghese e ingegneresca» e una «sensuale e fattiva».
Ecco, se si può muovere un appunto al programma (crediamo che non si sia fatto apposta), è proprio quello di non essere entrato nei «giardini interni», di non aver ascoltato il cuore della città per comprenderne la sensualità, per svelarne il fascino discreto. Alberto Angela è stato molto bravo a sovrapporre il suo punto di vista sul già noto, pur abusando dell’aggettivo «straordinario»: forse ha ragione lui, bastava intervistare Zlatan Ibrahimovic a San Siro, far recitare a Sonia Bergamasco una poesia di Alda Merini, ascoltare al telefono Adriano Celentano (leggeva, vero?), intervistare Dolce & Gabbana o assegnare a Giancarlo Giannini la reincarnazione di Manzoni per avventurarsi nell’immaginario urbano che il grande pubblico percepisce come «milanesità». Ma di notte non si sente l’aroma collettivo del risotto giallo.
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