Fabrizio Roncone per il Corriere della Sera - Estratti
(...) La partita di stasera qui in Germania, a Leverkusen — pioggia, freddo, lo stadio BayArena e, laggiù, la cattedrale della Bayer, multinazionale farmaceutica — è decisiva per qualificarci agli Europei, senza dover passare attraverso il martirio degli spareggi.
Contro l’Ucraina è sufficiente evitare di perdere. In linea teorica, non esattamente un’impresa. Però gli azzurri devono prepararsi a stare dentro una partita che può rivelarsi complicata. I nostri avversari, infatti, non giocano guardando la classifica del girone, ma solo ed esclusivamente pensando ai loro fratelli nelle trincee: e ci metteranno — com’è giusto, e bello — una corsa in più, la gamba non la toglieranno mai. Il nostro grande rischio è che, avendo due risultati utili su tre, qualche azzurro possa avere invece un calo di tensione, cedere all’idea che un gol a questi ucraini, prima o poi, glielo facciamo. Un pensiero molesto e presuntuoso che, senza ipocrisia, dobbiamo ammettere di avere in tanti.
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Il guaio è che ci portiamo addosso una grandeur immotivata. La verità è che abbiamo saltato due edizioni dei Mondiali e, adesso, c’è la mortificante sensazione che quella notte trionfale vissuta a Londra, ormai due anni e quattro mesi fa, in cui ci ritrovammo campioni d’Europa, invece che stimolare il sistema calcio a migliorarsi, a far crescere organizzazione, strutture e vivai, abbia avuto solo un effetto dopante. Ci ha fatto credere di essere quello che non siamo.
Certo abbiamo la straordinaria fortuna che Luciano Spalletti, lo scorso 18 agosto, accettò di venirci a mettere la faccia, e l’immenso mestiere, e tutta la sua visionaria bravura tattica. Ma non può sfuggirci che, all’Olimpico, contro la Macedonia del Nord, ha dovuto accroccare una formazione con Gatti — meglio ripeterlo: non Scirea, non Franco Baresi, ma Gatti — al centro della difesa.
Con Jorginho che viene convocato perché ha finalmente ricominciato a giocare nell’Arsenal, e noi tra serie A e B non abbiamo un solo regista di rango internazionale (Cristante e Locatelli, come noto, sono adattati al ruolo).
Bonaventura — gran piede, sia chiaro — diventa titolare a 34 anni suonati. Poi c’era Raspadori a fare il centravanti, sia pure con l’incarico da falso 9, però tutti sappiamo che al Napoli, nelle gerarchie, sta dietro a Osimhen. Quanto a Berardi, il talentuoso Berardi: è lui che nella tragica notte di Palermo, contro i macedoni, sbaglia un gol a porta vuota — non per modo di dire: era proprio vuota. E comunque: c’è tanta differenza tra lui e Politano? Oppure vogliamo parlare di El Shaarawy e Frattesi (stavolta parte dall’inizio), che non sono titolari nemmeno nelle rispettive squadre di club?
Come dicevano i nonni: questo passa il convento. Ma Spalletti sa tutto, ha visto tutto. Senza retorica, Luciano: siamo nelle tue mani.
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