SMETTO QUANDO VINCO
Gabriele Romagnoli per “il Venerdì di Repubblica”
presentazione buffon al parma 9
Proclamò il re, Michel Platini: «Nessuno verrà mai a dirmi che è ora di smettere». Se ne andò a soli 32 anni, dopo una partita qualunque (3 a 2 al Brescia), senza segnare, alzando nello spogliatoio un bicchiere di plastica pieno a metà di spumante, la maglia infangata, stanco d'amore, di guerra e soprattutto di sé. Rimpianti? «Stasera dormirò benissimo». Sofferenze? «Su con la vita, non è mica morto nessuno». Disse il poeta (il russo Evtuenko): «Non morire prima di morire».
presentazione buffon al parma 8
È quel che capita a molti grandi atleti. Continuano, continuano, ma è l'ombra a correre, il cuore a desiderare, il resto si è già fermato. Mentre Valentino ha finalmente trovato la forza per lasciare e la conseguente pace, Federer, Buffon, lo stesso Ibrahimovic, giocano i supplementari di un gran tempo trascorso, annacquandolo tra pubblicità, comparsate televisive, lampi di vita privata. Tutto, per sfuggire alla morte sportiva che associano a quella fisica.
valentino rossi versione dottor rossi
Il loro capitano è Francesco Totti. Il suo congedo è stato talmente spettacolare da risultare quel che per un faraone è la piramide: il monumento che ne nasconde la vita. "Speravo de morì prima" è la frase scritta da un tifoso, ma pensata da Totti. Non è un caso che sia divenuta il titolo della fiction sulla sua carriera, che abbia pesato più di un felice «Vi ho purgato ancora» o di un profetico «Mo' je faccio er cucchiaio».
L'importante era (non) finire. È difficile staccare. Come con il fumo, è invece facile ricascarci. Michael Jordan è un esempio di quel che può accadere quando un addio diventa un arrivederci. Un doppio esempio. Salutò, infatti, due volte. Dopo la prima tornò nella stessa Chicago in cui aveva vinto tre anelli della Nba. Oltrepassò la statua che gli avevano dedicato, si toccò il cappello e andò a vincere altri tre titoli.
Dopo la seconda, terminata la famosa last dance, si ripresentò a Washington e... avete dimenticato? Appunto. Va bene così. Nessun campione sa che fare dopo, non ci vuole pensare, per questo il più delle volte fa fiasco economicamente o moralmente (qui, anche il re Platini ha fallito). E sbaglia la manovra di distacco.
Il "più grande" Muhammad Ali, si trascinò fino a un ring nelle Bahamas, in un dicembre di quarant' anni fa, dove perse ai punti, rivelando una lentezza inedita e sospetta, l'inizio di una lunga e ben più dolorosa fine. Zinédine Zidane, nella finale mondiale 2006, recitò come ultimo atto una testata all'avversario che costò a lui l'espulsione e alla Francia, probabilmente, la coppa.
Impossibile non pensare che a esasperarlo, più di Materazzi, fosse lo spettro delle partite future, senza di lui. Poi ci sono le eccezioni. Forse Pelé, che chiuse davanti a 77 mila spettatori (c'era anche Ali), mettendo di fronte le due squadre e i due mondi della sua vita (Santos e Cosmos), giocando un tempo per parte e segnando con la prima il suo gol numero 1281.
Dovendo scegliere l'addio più riuscito, però, non vince un campionissimo, ma un campione sì, appena laureato, in Formula Uno: Nico Rosberg. Era il 2016. Aveva 31 anni (uno in meno di Platini al ritiro). Disse: «Era il mio sogno. Ora ce l'ho fatta, ho scalato la montagna, sono arrivato in cima, mi sento soddisfatto». Agitò la mano, sorrise e scese dall'altra parte, dove c'era ancora luce.
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