IL TENNIS, I MERLETTI E GLI AMORI DI LEA PERICOLI: "AVEVO IL POLSO DI BORG MA LA FEDERTENNIS MI ROVINO’ – LE MUTANDINE DI PIZZO ROSA INDOSSATE A WIMBLEDON? NON ME NE VERGOGNO. HO COMBATTUTO CHI VEDEVA NELLE ATLETE VIRAGO SENZA GRAZIA – HO AVUTO AMORI IMPORTANTI, ANCHE DOLOROSI, ORA VIVO DA SOLA. SARÒ CRETINA, MA RIMPIANTI NON NE HO"– E POI MONTANELLI, PIETRANGELI, FELTRI, PENNETTA, VINCI E FEDERER - VIDEO

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Estratto dell'articolo di Gianni Mura per la Repubblica

 

lea pericoli lea pericoli

 

«Il tennis, certo, e poi il golf. Sempre a rincorrere una pallina. Mi sa che nella vita precedente ero un cane». In questa vita, difficile racchiudere Lea Pericoli in poche parole. Un coniglio coraggioso la definì Indro Montanelli, amico di suo padre Filippo, nato per caso in Lucania ma romagnolo doc.

 

«Andavano insieme a caccia di lepri, in Etiopia». Fu Montanelli a volerla cronista di sport, e poi di moda. «Sul primo numero del Giornale c' è la mia firma in prima pagina, ne sono orgogliosa. (…) Conclusione amara: «Diventa direttore Vittorio Feltri, mi convoca e mi dice: da domani lei non è più collaboratrice di questo giornale. Così, secco. Mi ha fatto male la mancanza di una spiegazione, dopo tanti anni credevo di meritarla».

 

Gianni Clerici Gianni Clerici

In "500 anni di tennis" Gianni Clerici scrive più o meno che nell' ambiente tutti erano innamorati di lei, ma non è stata una campionessa. «È vero. Sono stata una buona tennista rovinata nel momento migliore. (...) Mi ha rovinata Dinny Pails, australiano, alle sue lezioni mi aveva mandato la federtennis.

 

Prima, giocavo un tennis istintivo, molto aggressivo, selvatico, tipico di chi è cresciuto senza maestri. Pails mi ha cambiato l' impugnatura e costretta a diventare specialista di pallonetti. Non avevo l' età per ribellarmi, mi sono adattata a giocare un altro tennis. E dire che avevo il polso di Borg. Clerici scrisse pezzi di fuoco, sostenendo che Pails era un asino, un cane testardo di nessuna utilità. Niente da fare. Non l' ho odiato, odiare costa fatica. (...)

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Da Wimbledon alle mutandine rosa il passaggio è inevitabile.

«Lo so, e comunque non me ne vergogno. Era il mio esordio a Wimbledon, in precedenza mi aveva avvicinata Ted Tinling, ex colonnello dell' esercito, alto alto e calvo, gay, aveva un fidanzato piccolino e malinconico. Disegnava cravatte, camicie, abbigliamento sportivo un po' bizzarro. La sua prima tennista-modello era stata Gussie Moran , mutandine panterate. Avevo visto la sua foto quand' ero a Nairobi, nel convento di suore dove si parlava solo inglese, io ero l' unica italiana ma a cavallo e a tennis ero la migliore, ed ero anche titolare nella squadra di hockey su prato» (...)

montanelli intervistato da enzo biagi montanelli intervistato da enzo biagi

Il tennis di quegli anni è un mondo chiuso, di rigore il bianco («ma io lo vorrei anche adesso, solo il bianco»), donne con gonne abbastanza lunghe, o con sottana-pantalone, movenze aristocratiche. Tinling e le sue tenniste-mannequin buttano il sasso nello stagno.

 

Lea si presenta in sottogonna di tulle rosa, mutandine rosa e calze rosa. I fotografi impazziti, il pubblico diviso. «I fotografi mi distraggono, vinco facile il primo set con una spagnola che mi è inferiore, poi mi blocco e sono eliminata. Peggio, mio padre mi proibisce di continuare col tennis. Il clamore non gli è andato giù.

 

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Quelle mutandine, quella gonna di cui hanno misurato la lunghezza più volte, ma era nelle regole, meno nelle regole semmai le mutandine, è tutto esposto al Victoria Albert Museum di Londra, come altri capi che più tardi Ted mi fece indossare: un gonnellino di visone, uno di penne di cigno, un abitino di petali di rose, un pigiama di pizzo, in Sudafrica perfino un vestitino d' oro con le mutandine di brillanti. Vorrei chiarire che questi costumi stravaganti, a volte eccessivi, li indossavo solo per le gare facili. Se c' era da soffrire, tenuta bianca classica. Ho cominciato con Ted perché mi divertiva e perché in Italia era molto diffusa l' idea che lo sport trasformasse le donne in muscolose virago senza grazia. Ho fatto una scelta dalla parte delle donne».

 

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Ne ha fatta anche un' altra: quella di rendere pubblico il tumore che l' aveva colpita al collo dell' utero. «Sì, lì fu decisiva la spinta del professor Veronesi. In quegli anni si faticava a nominarlo, il tumore, il cancro. Era "il male inguaribile", da tener nascosto, quasi fosse una vergogna. Sei mesi dopo l' intervento chirurgico vincevo il campionato italiano e Veronesi diceva che quel risultato valeva cento conferenze, che con una diagnosi precoce, era il mio caso, si continua a vivere. Era il '73, mi pare, non ho memoria per le date, per i fatti sì. In quella campagna ci ho messo la faccia e il cuore. Quattro anni fa ho avuto un problema di salute ma non l' ha saputo quasi nessuno. Molte donne di una certa età quando vado a fare la spesa in tram mi sorridono e mi salutano e questo mi rende felice. Ho un carattere che mi porta a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. Ho avuto una vita meravigliosa e ogni giorno la ringrazio. Ho avuto tanti amori importanti, anche dolorosi, e vivo da sola, ma convivo bene con me stessa, mi parlo e mi rispondo. E ho tanti amici. Nicola dice che solo i cretini non hanno rimpianti, sarò cretina ma non ne ho».

federer federer

 

Le piace questo tennis? «Non è il mio, i racchettoni hanno cambiato tutto, puoi fare quello che vuoi. Con le racchettine di legno eravamo meno potenti e più tecnici. Meno male che c' è Federer, che sfiora la perfezione: è bello, simpatico, molto impegnato nel sociale e, dettaglio fondamentale, pensa tennis come uno dei nostri tempi e lo gioca con i mezzi e gli avversari di oggi. Promette bene Alex Zverev, se non si rovina. In generale, oggi sono tutti badilanti senza fascino, pensano solo ai soldi.

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Ma lo sa che c' è chi ha chiesto dei soldi anche per giocare in Davis, cioè per difendere i colori del suo Paese? In Italia per trovare un vero campione occorre risalire a Nicola e, un po' più giù, a Panatta. Nicola è l' uomo più pigro e affascinante che abbia conosciuto. Ho scritto io la sua biografia perché era troppo pigro per scriverla lui. Le ragazze, invece, ne hanno fatta di strada. Vedere Pennetta-Vinci in finale di un grande slam è stata un' emozione forte».

Da giocatrice la chiamavano la Divina, ma la sua bellezza (anche oggi, sì), l' eleganza, la volontà sono molto terrene.

Uscendo, resto attratto da un quadro sulla parete di sinistra.

Bello, chi l' ha dipinto? «Io. Ne ho dipinti una sessantina in un solo inverno per superare una crisi». Che stupido a chiedere. Dovevo immaginarmelo.

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