Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia
Calciostruzzo. Hai voglia a mettere la testa sotto la terra. Le cose accadono. E anche velocemente. Devi solo allenare l’olfatto per cercare il cattivo odore, che non necessariamente arriva dalle ascelle sudate di Mino Raiola o dal teschio impomatato di ADL. Per disgustarti meglio, parti dalle immagini vintage di quando gli stadi erano meravigliosi e ribollenti carnai, centomila trippe sudate e altrettanti muscoli cardiaci sotto la canotta felicemente confusi nel mucchio. Erano le grandi mongolfiere naives che per novanta minuti decollavano, più di tre passi nel delirio. Molti di più. Erano i tifosi.
Materia bruta che si alimentava con frittata e cipolla. Poi i tifosi si sono organizzati, hanno sequestrato prima le curve, poi le società, quindi i giocatori. Hanno sparato razzi, spaccato teste, c’è scappato anche il morto. Quisquilie. Il demonio abita altrove. Basta seguire l’odore del denaro. Da Joseph Blatter a Tonino Pulvirenti. I diritti? Televisivi. I tifosi diventano clienti. Cioè sudditi. A Roma diventano opinionisti. Teppisti della parola.
I teppisti da stadio? La Thatcher li spazza via in una settimana, noi li sfondiamo da anni con la goccia cinese. Vigliacca ma inesorabile. I calciatori diventano fotomodelli. Carne da gossip. Da Gigi Riva a Balotelli. Al guinzaglio dei nuovi padroni del calcio. I procuratori. Nella mischia ci trovi di tutto. Geniacci forbiti e ignorantoni con la camicia unta. Unti e uniti si vince. Una sola missione, procurarsi il conto in banca più gonfio di zeri del pianeta. Gli stadi si svuotano. Più che stadi sembrano crani ammalati di alopecia. I pochi ostinati? Residui di forfora. Brufoli tenaci. Piattole abitudinarie. I numeri contano e cantano. Anche al posto degli ex tifosi.
I presidenti diventano Tavecchio. O Maurizio Beretta. Uno che fonda la sua durata sulla sua invisibilità. Si confonde, come i più abili democristiani, con la tappezzeria del palazzo. Dice per non dire. Fa per non fare. Esiste per non esistere. Spara per non sparare. In effetti, lui non cambia. Era così già da bambino. Mai caduto da una bicicletta e, se cadeva, non una traccia di sangue. Il calcio invece cambia. Pochi alla guida, tutti gli altri come lo struzzo. La testa sotto la terra. Fanno finta di non vedere. Dimenticavo. Avremo finalmente la moviola in campo. Una volta gli arbitri erano almeno cornuti allo stadio. Adesso nemmeno più da casa. Sarà un pallone infallibile. Nel deserto.
L’olfatto è un fatto. Odore di naftalina. Non un granché. Ovvero, Marcello Lippi, il padre della patria.. Saggio e Canuto. L’uomo del culo di Berlino. Che quando parla si concede. Quando mai ha parlato? Finalmente, sì. Leggo un suo virgolettato: “Quelli della federazione sono fuori di testa”. Esulto. Ecco, ora era.
Il padre della patria, come Cincinnato, molla ogni remora, parcheggia l’aratro e si lancia in un duro attacco contro la pochezza dei vertici pallonari, la loro inadeguatezza, eccetera. Macché. Il padre della patria ha solo un rospo da sfogare che gli sta lì, nelle budella, da settimane. “Mi avevano già messo sotto contratto e mi hanno fatto fuori solo perché ho un figlio procuratore. Questi fuori di testa!”.
Congiuntivite cronica. Tutto cambia perché tutto resti uguale. Non è solo Gigi Di Maio che scansa i congiuntivi come fossero giornalisti o i giornalisti come fossero congiuntivi, così incomprensibilmente arrogantello, senza essere nemmeno l’antefatto di Rumor, da risultare persino fascinoso. Più esilarante di Di Maio c’è solo Max Allegri che fa la voce glamour nello spot pubblicitario. Per restare al pallone. E alla micidiale sapienza dell’olfatto. Dove ci porta stavolta? Nelle sacre teche dei potenti Uefa e dei club milionari. Hanno ordito sotto traccia la nuova Champions League. Che sarà una SuperChampions. Più muscoli, ovvero denari. Una rivoluzione.
A partire dal 2018. Definitivo. Di qua il fasto dell’Europa che conta, di là il cortiletto degli sfigati. Il calcio minore. Spazzati via i tifosi, sarà a breve la fine dei campionati locali. E’ l’inesorabile strategia del ragno. Possiamo solo adeguarci. Le leghe nazionali protestano: “E’ la fine del calcio”. Ma no, poveracci, è solo la vostra fine.