LA VERITÀ DI IRENE CASTELLI - LA COACH BERGAMASCA, AZZURRA DELL'ARTISTICA AI GIOCHI DI SIDNEY 2000, SPIEGA A DAGOSPIA ALCUNI PASSAGGI CONTROVERSI DELL’INTERVISTA AL CORRIERE DELLA SERA - “NON HO MAI PARLATO DI AGGRESSIONI NEI CONFRONTI DELLE MIE ALLIEVE” – POI CHIARISCE ANCHE L’EPISODIO DELLA PIPI’ DI CUI FU TESTIMONE QUANDO ERA UNA GIOVANISSIMA ATLETA RACCONTATO DA UN COACH – "UNA RAGAZZA PROMETTENTE DOPO LE UMILIAZIONI SUBITE DAL CAPO ALLENATORE SI FECE LA PIPÌ ADDOSSO: LUI SI TRATTENNE DAL DARLE UNO SCHIAFFO DICENDO CHE LE FACEVA SCHIFO”

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irene castelli irene castelli

La verità di Irene Castelli. La coach bergamasca, azzurra dell'artistica ai Giochi di Sidney 2000, spiega a Dagospia alcuni passaggi controversi dell’intervista al Corriere della Sera. “Non ho mai parlato di aggressioni nei confronti delle mie allieve. Nel corso della mia carriera ho subito degli abusi ma li ho metabolizzati e soprattutto non mi sono mai permesso di aggredire le ragazze che ho allenato”.

 

Poi chiarisce anche l’episodio della pipì, di cui è stata testimone quando era una giovanissima ginnasta, raccontato da un coach all’incontro organizzato dall'associazione “Change The Game”, coordinata da Daniela Simonetti. “Una atleta promettente ma esuberante veniva umiliata davanti a tutti dal capo allenatore che la costringeva a decine di trazioni punitive alla fune. Un giorno lei, per la vergogna e lo sfinimento, si fece la pipì addosso: lui si trattenne dal darle uno schiaffo dicendo che le faceva schifo”

 

 

IRENE CASTELLI

Marco Bonarrigo per corriere.it

 

«Ho sbagliato sapendo di sbagliare. Ho sbagliato perché alla fine della mia carriera di atleta avevo l'autostima sotto i piedi ed ero traumatizzata nel corpo e nella mente. Così, quando ho iniziato ad allenare, aggredivo sistematicamente le mie allieve: se non ho fatto loro del male è solo perché ho realizzato la situazione e ho trovato una psicologa che mi ha guarito. Alle colleghe dico: cercate aiuto all'esterno, accettatelo perché il rischio di provocare traumi e dolore nelle vostre bambine è forte».

GOGGIA IRENE CASTELLI GOGGIA IRENE CASTELLI

 

Bergamasca, 39 anni, Irene Castelli, azzurra dell'artistica ai Giochi di Sidney 2000, è la prima coach ad analizzare criticamente (e su se stessa) gli errori delle allenatrici della ginnastica dopo settimane in cui l'ambiente è stato devastato dalle denunce di giovanissime vittime di aggressioni, violenze e insulti.

 

Castelli si è aperta, tra emozione e lacrime, all'incontro in cui ieri a Roma l'associazione «Change The Game», coordinata da Daniela Simonetti, ha presentato le 197 denunce finora ricevute dagli psicologi e dai legali del team. «Mandata in pedana sotto antidolorifici anche quando stavo male - ha raccontato Castelli -, per non sottrarre tempo agli allenamenti dovevo scegliere se pranzare o andare dal fisioterapista. Le Olimpiadi non sono state un traguardo ma un incubo».

 

Irene si è aperta ed è guarita, un secondo coach di cui ieri è stata trasmessa la testimonianza si sta pentendo solo ora: «Una mia atleta promettente ma esuberante veniva umiliata davanti a tutti dal capo allenatore che la costringeva a decine di trazioni punitive alla fune - ha detto - Un giorno lei, per la vergogna e lo sfinimento, si fece la pipì addosso: lui si trattenne dal darle uno schiaffo dicendo che le faceva schifo». Un orrore di cui lui, il coach, ammette di aver realizzato la portata solo da poco.

 

E poi Alexa, ancora giovanissima, apparsa coraggiosamente in video per spiegare il suo passaggio da una «felice dipendenza dalla ginnastica, l'unico sport in cui puoi davvero volare» all'incubo di una nuova coach che - a 12 anni - cominciò sistematicamente a molestarla per via del peso. «Mi faceva sentire grossa, grassa, brutta - ha spiegato - e io misuravo il polso con quello delle compagne per provare a sentirmi normale.

Ho iniziato a rifiutare il cibo, prima gettandolo nel water e poi vomitandolo, ma lei continuava ad umiliarmi, sostenendo che il mio corpo sbagliato penalizzava la squadra e le compagne. Devo la vita a una conversazione con mia madre che mi ha salvato fidandosi di me, perché le altre mi isolavano. Dopo mesi la società ha allontanato la coach, però nessuno mi ha mai chiesto scusa».

Altre giovani atlete e altre coach hanno decodificato lo standard delle violenze. L'allieva a disagio che diventa elemento destabilizzante, i genitori che vengono convocati per spiegare loro quanto sia capricciosa e pigra e per farla sentire in colpa, i pugni sullo stomaco e gli schiaffi sulle gambe giustificati (anche quando lasciano ematomi) per «verificare il corretto stato di tensione dei muscoli» e impedire «che rilassandosi troppo la bimba cada e si faccia male».

Il mondo della ginnastica attende ancora le risposte di una Federazione immobile sul piano disciplinare: il fossato tra governo dello sport e atlete è profondo anche se ieri il presidente Tecchi ha proposto per la prima volta un incontro con l'associazione. Se la giustizia sportiva è inerte (il reato si prescrive dopo 4 anni, le pene sono mitissime), Patrizia Pancanti, avvocato, ha spiegato che «sul fronte penale sono accertati fatti trasversali a livello nazionale su cui stanno lavorando molte procure». Le ipotesi di reato sono quelle dell'articolo 572 del Codice Penale, i «maltrattamenti nei confronti di persona di famiglia in affido per ragioni di educazione, istruzione, cura o esercizio di una professione o di un'arte». Perché quella della ginnastica sarà anche una grande famiglia, come ripetono spesso i federali, ma al momento è soprattutto una famiglia malata.

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