MUGHINI CON LA MAGLIA DELLA JUVENTUS

 

 

 

Lettera di Giampiero Mughini a Dagospia

 

Caro Dago, c’è qualcosa di sublime nel fatto che a mettere il loro marchio sul sesto scudetto consecutivo della Juve – evento mai avvento nella storia ultrasecolare del nostro sport per eccellenza, quello di cui si infervorano al lunedì mattina 30 milioni di italiani – siano stati tre giocatori/capolavoro della squadra bianconera e talmente diversi tra di loro. Il segno che una grande squadra di calcio deve mettere in vetrina e far valere tutti i tipi e tutti i caratteri della commedia umana, commedia di cui lo sport è sempre uno specchio prestigioso.

 

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Tre gol a trafiggere il muro difensivo del Crotone, che personalmente temevo più di quanto i soldati tedeschi del giugno 1940 temessero la Linea Maginot opposta dall’esercito francese. La Forza, l’Ostinazione ma anche l’Umiltà di Mandzukic (primo gol); il Talento e la Classe immensa che se ne stanno come blindati nella gamba sinistra di Dybala (secondo gol); la Dedizione continua di Alex Sandro (terzo gol), una dedizione commista di qualità e di quantità nell’andare su e giù lungo quei poco meno che centro metri del campo.

 

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Sì c’erano tutti i caratteri e tutti i tipi e tutti i talenti nella Juve di quest’anno, tanto che ad agosto scorso mi ero deciso a scrivere il mio terzo (e ultimo) atto d’amore per la Juve. Lo sentivo che sarebbe stato un anno speciale. Per forza.

 

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C’era quel miscuglio di cagnacci imbattibili della linea difensiva e quei due o tre portenti in attacco, e un Pjanic che avrebbe potuto fare (come ha fatto) il campionato migliore sua carriera, e l’Uomo Gigi Buffon che sta facendo durare da oltre vent’anni la leggenda che lo designa come miglior portiere di tutti i tempi.

 

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E poi c’è quella società e quella famiglia e l’accoppiata mostruosa Marotta/Paratici e il coach Allegri, gente che il calcio lo respira ogni minuto che scorre. La società che era stata annientata da Calciopoli e che in un certo momento fu lì lì per portare i libri in tribunale perché non c’era di che pagare gli stipendi. L’altro ieri tutto questo.

 

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E ovviamente non c’erano i soldi per comprare dei fuoriclasse, semmai gente che altre società reputavano degne tutt’al più dello sgabuzzino dei ferri usati. Tipini come Pirlo, come Pogba, come lo stesso Vidal (pagato con quel che oggi ci paghi delle colf a mezzo servizio).

 

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Quelli erano i budget, quella era la Juve del 2010, e lo ha detto due giorni fa Andrea Agnelli. E adesso c’è quest’altra di Juve: due vittorie importanti in una settimana. Quanto alla terza sfida, la finale di Champions, Dio farà quel che vorrà. E’ lui il Re del football, di questo sport dove al centro c’è una palla che rimbalza in tutti i versi e attorno a lei 22 giocatori che si avventano.

 

Sarà quel che Dio vorrà, ma per quel che è successo quest’anno a me basta e avanza. Le 38 partite del torneo nazionale. Il più bel romanzo italiano. Aver vinto qualcosa che è cento volte meglio del Premio Strega per la sesta volta consecutiva. La trentacinquesima sul campo. Dio che gioia.

 

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Giampiero Mughini

 

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