Z come Zanardi: è l’ultima casella dell’alfabeto d’autore con il quale il prossimo numero di 7, eccezionalmente in edicola giovedì 24 e poi per due settimane, prende commiato dal 2020 e guarda alla vita che verrà. Ogni lettera dell’alfabeto è affidata a una grande firma del «Corriere». Interviste, spigolature, ritratti: ritroverete quello che è accaduto a noi e nel mondo, quello che vi ha colpito e commosso. Con uno sguardo già rivolto ai protagonisti del 2021. Da Kamala Harris a Ibrahimovic, dai congiunti a Zoom. Vi anticipiamo un ampio estratto del racconto dedicato da Carlo Verdelli alla missione (im)possibile del grande Alex.
Carlo Verdelli per www.corriere.it
Il recupero delle funzioni sensoriali
Vedere, vede. Sentire, sente. Parlare ancora no perché gli tengono per precauzione il buco nella trachea ma presto potrebbero chiudergli anche quello, come già hanno fatto con la scatola cranica dopo averla riparata frammento per frammento. E il cervello che ci sta dentro, tornato al sicuro, ha ricominciato a tessere i collegamenti, a recuperare una per una le meravigliose funzioni di cui è capace. Insomma, Alessandro Zanardi è vivo, e lotta come solo lui. Quanto alla faccia, la sua bella faccia appuntita con gli occhi blu, è tornata come prima, più di prima.
Recordman di resurrezioni
L’impresa impossibile sta diventando possibile. Trovando le forze chissà dove, andandole a pescare dentro abissi sconosciuti a noi umani, Sandrino da Bologna, professione pilota, recordman mondiale di resurrezioni, piano piano sta scalando il secondo Everest che gli si è parato davanti all’improvviso, e questa è una delle poche notizie buone di un anno cattivissimo. Il suo primo Everest è già leggenda. Non soltanto uscì vivo da un incidente che lo tagliò letteralmente in due, gambe da una parte e resto del corpo dall’altra, durante una gara automobilistica in Germania (era il 2001, aveva 35 anni), ma diventò addirittura più forte e più campione buttandosi come un pazzo nel mondo delle handbike, le biciclette da spingere a braccia. Quattro ori e due argenti olimpici, un’infilata di titoli, una fama da monumento vivente al non arrendersi mai, il proposito di concedersi una sfida ancora, Tokyo 2021, i primi Giochi dopo il virus. A 54 anni e passa.
Faccia a a faccia con la morte
Poi il fracasso della sua testa che si frantuma nell’impatto con un camion su una strada nella campagna senese, il 19 giugno di questo disgraziato Ventiventi, durante una tappa di una specie di giro d’Italia su due ruote, una cosa tra la beneficenza e la voglia di portare a spasso un po’ di gioia dopo mesi infami. La seconda montagna stregata lo aspetta dietro una curva cieca, maledetta e imprevedibile come la prima. E come la prima lo mette sguardo contro sguardo con la morte.
La sua terza vita
Stavolta è spacciato, le favole non concedono il bis. I primi soccorritori scuotono le teste. Ma il cuore batte ancora, la moglie Daniela si butta sopra il suo Alex come ad impedire all’anima di scappare via. «Stai qui, resta sveglio, sono io, guardami, guardami». Riesce a tenerlo cosciente, nonostante lo strazio di ritrovarselo, una volta ancora, sfregiato dal destino. Ma è proprio da quell’istante, dalla forza straripante di un amore che impedisce al niente di risucchiarlo, che Zanardi riparte per la sua terza vita. Sono in pochi a sperarci in quelle ore, conciato com’è, molto più di là che di qua. Ma passa la prima notte, poi la seconda, la terza. Il figlio Niccolò posta una foto della sua mano sopra la mano bianca e immobile del padre: «Lui è una tigre. Ce la farà».
L’infezione e la ripresa
niccolò zanardi e alex zanardi
E la tigre, ancora una volta, per la seconda volta, fa di tutto per non deluderlo, per non smentirlo. Come gli eroi dei fumetti dei bambini che si rialzano dopo ogni botta tremendissima, Zanardi ingaggia con il destino un’altra battaglia feroce e invisibile. Non si arrende neanche quando, dopo gli sforzi ultraterreni dei primi mesi, un’infezione lo riporta alla casella di partenza. Scivoli in parete e ti ritrovi spossato al principio della scalata. Altre operazioni, altri ospedali, il San Raffaele di Milano che ricompone con infinita pazienza e perizia il puzzle di un uomo scollato.
La forza di Daniela
daniela la moglie di alex zanardi all'ospedale di siena
E sopra ogni cura, sopra ogni chirurgo, in cima all’onda dell’affetto popolare che penetrando da sotto le camere di terapia intensiva carezza il corpo esausto del campione di tutti, dietro ogni disperante ricaduta e ogni impercettibile progresso, c’è una donna, Daniela, Manni Daniela in Zanardi, che ha sposato il suo Sandrino nel 1996 e da 24 anni, nella buona e nella più terribile sorte, lo risposa ogni giorno.
Le passioni comuni
Non troverete una sua intervista, una foto posata, un’ospitata in televisione. Lei c’è per lui e per il loro Niccolò, silenziosa, infaticabile, inavvicinabile non per spocchia ma per pudore. Una volta le dissero: «Che bel marito che ti sei trovata!». E lei: «Verissimo, ma a lui è andata meglio». Si erano conosciuti sulle piste di Formula 3. Daniela era manager di un team, bella competitiva, le gare seguite dal muretto. Sandrino, uno che attaccava le macchine ai muri piuttosto che rinunciare a un sorpasso. Stesso sangue, stesse passioni, caratteri simili, grandissimo amore.
È grazie a Daniela se Zanardi è nato per la seconda volta, dopo la tragedia tedesca del Lausitzring. È grazie a Daniela se Zanardi è sulla buona strada per mettersi ai blocchi di partenza della sua terza vita. Lui non molla mai, lei non molla mai lui. Insieme, non c’è Everest che li scoraggi, per quanto tagliente. La prima domanda che la signora Daniela ha fatto ai medici dopo l’ultimo schianto non è stata «che ne sarà di lui, come resterà se sopravvive, a che futuro va incontro?». No, la prima e definitiva domanda è stata: «Possiamo salvarlo? E allora fate tutto quello che si deve».
I prossimi passi
Il 21 novembre, Alex è stato trasferito nel reparto di neurochirurgia di Padova, vicino a casa (la famiglia Zanardi abita a Noventa, 8 chilometri).
Stringe la mano su richiesta.
Se gli chiedono di fare ok, alza il pollice.
Dov’è Daniela? E lui gira appena il capo verso di lei.
Non è certo la vetta ma almeno siamo ai piedi dell’arrampicata, che è già un risultato insperato. Al resto ci penserà la «tigre», un poco alla volta, un centimetro dopo l’altro, a forza di braccia e cuore, fino al traguardo. Il prossimo passo, a cui i medici danno molta importanza, sarà quello di riuscire a tirare fuori la lingua. Non lo vedremo, non ce lo diranno. Ma quando succederà, perché succederà, sembrerà uno sberleffo al dio crudele che dall’Olimpo ha preso così tanto di mira il figlio pilota di una sarta e di un idraulico.