CARLA ACCARDI, IL PIACERE DELL’OCCHIO - "UN DIPINTO DEVE DIRTI QUELLO CHE VUOLE DIRTI IN BREVISSIMO TEMPO E DEVE DIRTELO CON LA SENSAZIONE DI UN PIACERE”

Tutte le cose che ha fatto le ha volute. Anche la leggerezza che è un punto d'arrivo e che negli ultimi anni l'ha resa ancor più forte, rendendo ancor più triste questo commiato non solo da lei ma dalla coerenza e determinazione di una ricerca che deve molto alla cultura del Novecento…

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Alessandra Mammì per Dagospia

Oggi che abbiamo perso una grande artista, dobbiamo ricordare non solo Carla ma anche Antonio Accardi ingegnere civile, uomo illuminato e amante delle arti che insegnò ad amarle fin da piccola anche sua figlia, seconda di quattro fratelli, nata nel 1924 a Catania, ma nel 1946 a 22 anni, già spedita da sola a Firenze a frequentare l'Accademia di Belle Arti.

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Dobbiamo ringraziarlo l'ingegner Antonio, come faceva lei quando la si intervistava e raccontava di sè come una mosca bianca, una di quelle fortunate creature che a dispetto dei tempi riescono a seguire la loro vocazione "perchè qualcuno ha creduto in me e quello era mio padre".

l primo libro che le dette suo padre ("ero ancora ragazzina") fu un catalogo di Matisse senza testo. E così "Il mio rapporto col Sud fu mediato dalla visione che Matisse dava del paesaggio attraverso le sue finestre. Avevo allora un balcone che si apriva su un giardino fiorito. Non ricordo i colori perchè la luce prevaleva su tutto". La luce contiene tutti i colori e i balconi al Sud hanno balaustre di ferro piene di riccioli e ghirigori, che lasciano segni interrotti di ombre sul pavimento.

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Se l'immagine primaria fu quella è facile capire che l'Accademia di Firenze fine anni Quaranta deluse la giovane Carla: "era piena di pittrici, signore che si dilettavano. Io mi volevo allontanare il più possibile da quell'immagine. Mi facevo chiamare artista e non pittrice".

Artista già allora, quando lascia Firenze e va a Roma, unica donna del gruppo Forma 1, quelli che si definiscono marxisti e formalisti contro i realisti comunisti. Compagni astrattisti in lotta con compagni figurativi. Lotta vera, polemiche e risse, molti uomini e una sola donna lei. Carla assiste, lavora, dipinge. Nel 1949 sposa il pittore Sanfilippo, che già frequentava da tempo.

Sempre pacata. Mai rivendicativa. Sospettosa persino di ogni coinvolgimento nel femminismo: "Mi sono sempre distaccata dalle istanze femministe perchè ho pensato che ero nata donna per caso mentre non ero nata artista per caso". Dirà più tardi. Per giustificarsi quando esplodevano le rivolte, le riots e guerrilla girls. Artista fino in fondo nell'animo, ma lontana dai cliché nell'aspetto, che restava quello di una signorina di buona famiglia: camicetta e gonna, tacco medio, capello carrè, buon profumo.

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Il vestito manifesto del suo pensiero astratto nel 1953, lo fa indossare alla sorella Anna che sfoggia l'abitino bianco campito da geroglifici e rifinito da un collo a guru, in una foto bianco nero su terrazzo romano. Da allora una carriera quieta, una ricerca continua, un desiderio di avvolgere il mondo di colori e di segni vibratili, i suoi sicofoil trasparenti, gli ambienti, le tende, i labirinti, i veli, i pavimenti, i murales...

Superfici sempre più grandi, tra le più grandi allora sperimentati. Colori sempre più puri, l'uno contro l'altro. Tinte nette senza ombre, pensieri fluorescenti, luce del Sud. "Un dipinto deve dirti quello che vuole dirti in brevissimo tempo e deve dirtelo con una sensazione....Io ho sempre collegato questa sensazione all'idea di un piacere, di un piacere dell'occhio, in qualche modo un piacere dell'intelligenza". E l'intelligenza non invecchia.

Ci si chiedeva spesso come mai col passare degli anni le opere di Carla Accardi sembrassero sempre più giovani, più colorate, più forti, più grandi. E lei ...sempre più libera, più curiosa, sempre perfetta nella sua eleganza bon ton, sempre pronta a uscir fuori per cena a passeggiare per le sue strade di Roma: Babuino, via Margutta, piazza del Popolo.

"Tutte le cose che ho fatto le ho volute. In fondo il lavoro si far per sé, non si fa per gli altri, perché se lo fai per gli altri segui sempre delle cose che non sono pure, che sono delle imposizioni, delle influenze, invece seguire il proprio sogno è diverso, perché fai una cosa e la prima volta che la fai ti sembra strana...dopo ti ci immergi e ne ricavi un significato".

Tutte le cose che ha fatto le ha volute. Anche la leggerezza che è un punto d'arrivo e che negli ultimi anni l'ha resa ancor più forte, rendendo ancor più triste questo commiato non solo da lei ma dalla coerenza e determinazione di una ricerca che deve molto alla cultura del Novecento.

Ma anche a un signore siciliano che contro ogni convenzione e abitudine mentale, nei profondi anni Quaranta lascia partire da sola una figlia ventenne, perché capisce che in quella ragazza minuta c'é un grande artista. (Citazioni di Carla Accardi tratte dal volume: Germano Celant "Carla Accardi", Silvana Editoriale-Zerynthia 2011)

 

 

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