Antonio Riello per Dagospia
Rimbombano dotte citazioni sulla peste manzoniana (ovvie) e richiami alla "solidarietà" e all' "ambiente" (generici e velatamente minacciosi). Si annunciano a spron battuto lotterie e aste di beneficienza (sicuramente meritevoli azioni filantropiche, ma possono servire solo una tantum). Ricorrono roboanti e discutibili affermazioni sulla "bellezza che salverà il mondo..." (perfino la gloriosamente mitica Avanguardia Artistica dei primi del Novecento - roba seria davvero, quella là - non ha potuto evitare all'umana specie nè la Prima Guerra Mondiale nè l'epidemia di Influenza Spagnola....).
La cosa davvero importante che riguarda la cultura italiana di queste settimane di "Tempo Sospeso" è una sola: lo spostamento massiccio (e forzato) di quasi tutte le attività verso la dimensione "on line". Un grande stress per parecchi ma anche un'opportunità, una trasformazione dai contorni ancora indefinibili, probabilmente inarrestabile e in parte permanente.
Per musei, fondazioni e gallerie d'arte l'unica strategia per restare in vita ora è questa, anche se una estinzione di massa, almeno per le gallerie, è in ogni caso prevedibile: qualcuno parla di "tasso di mortalità" vicino al 50% previsto per la fine del 2020. Per gli artisti non ci sono ancora statistiche. Gli esiti di questa mutazione verso l'immaterialità saranno molto interessanti da valutare. Quel che è già evidente è che alcune generi ne beneficeranno, altri no.
Le opere in forma di video sono già, naturalmente, "dentro lo schermo": perfettamente fruibili e a proprio agio; con buona probabilità prospereranno (fatti salvi i problemi di produzione che di certo un po' ne soffriranno). Poi, discorso a parte, c'è l'arte "politica" in streaming fatta da artisti e affini: proclami, insegnamenti (più o meno radical), comizi, consigli, complotti svelati e tanti moniti.
L'arte oratoria, insomma, del "ti insegno io che cosa è giusto". Forse basterebbe ricordare che l'Arte ha il sacrosanto dovere di suscitare "solidi dubbi" mentre gli imbonitori (poco importa se parlano alla tele o su Youtube) spacciano solo "fragilissime certezze". Inoltre è roba tanto inutile quanto noiosa: si auto-dissolve travolta dalle tante trovate spontanee, fresche e divertenti che furoreggiano sul Web (se ne trovano di paradossalmente geniali, tipo "Matty il Biondo", l'irresistibile ragazzino di Angri). Qui sembra avere ragione, nel bene e nel male, il grande (e saggio) Joseph Beuys con il suo celebre: "ogni uomo è un artista".
Molto meno facili sono le cose per un museo o una galleria che opera con installazioni site-specific. Per quanto sofisticata sia la tecnologia a disposizione, le suggestioni ambientali (un mix sonoro-olfattivo-acustico-tattile) risultano alla fine alterate e quindi, per forza, irrimediabilmente perdute nella loro integrità. Anche una rilevante parte esperienziale della pittura (e soprattutto della scultura) non ce la fa proprio a diventare una realtà fatta solo di pixel.
Pure le opere fotografiche perdono, quando sono on line, molto del loro glamour (che è creato dalla loro materiale unicità, legata anche a dimensioni e cornici). Finiscono per banalizzarsi, confondendosi con le tantissime immagini che affollano i siti. Sarà dunque senz'altro più difficile mostrare e vendere con successo molte delle tipologie artistiche tradizionali.
Le cose rimangono, per fortuna, abbastanza semplici per la parte strettamente archivistica: un museo dedicato, ad esempio, al movimento Fluxus (che propone tipicamente performance e "azioni artistiche" e delle quali, per forza, rimane solo la memoria documentale) può funzionare benissimo in rete. Le organizzazioni museali, di certo alcune in particolare, potrebbero insomma non soffrire troppo. Tutte, per sopravvivere, dovranno iniziare però a far pagare le "visite virtuali". Inoltre dovranno velocemente costruire progetti appositi e non solo riciclare o catalogare l'esistente. Il successo vertiginoso delle visite "a distanza" del MAXXI dimostra con chiarezza che chi si dà da fare viene premiato.
index of american design illinois
In questi difficili giorni di frenetica conversione digitale moltissimi operatori artistici trasmettono (complice la piattaforme dei vari Messenger, FaceTime, Zoom Meeting, etc. etc.) interviste a critici e artisti. Sono perlopiù conversazioni/video-in-diretta sulla creatività e sulla vita durante l'emergenza. Stimolate dalla quarantena ci sono innumerevoli testimonianze sul "privato".
Sicuramente è una bella occasione per vedere lati inediti e back-stage divertenti e poco noti: si va dalle pratiche culinarie, al giardinaggio, al bricolage, alle play-list musicali, alla ginnastica, alla meditazione, al "come-mi-vesto-in-casa", alle fisime personali più improbabili. Ce ne davvero per tutti i gusti: preferibili, forse, le avventure in cucina (il pensiero va di nuovo a Beuys con il magnifico libro "Art of Cooking" a lui dedicato da Lucrezia De Domizio nel 1999). Questo spaccio pubblico di intimità sta diventando però una pratica fin troppo diffusa che corre il rischio di entrare, prima o poi, in una fase di inflazione.
La semplice morale è che, se si vuole essere attivi in un contesto on-line che funzioni, bisogna immaginare, pensare e produrre Arte ad hoc. Questo richiede tempo, qualche investimento e, più di ogni cosa, un mutamento culturale non indifferente che dovrebbe coinvolgere artisti, curatori, direttori di musei, mercanti. Non che non ci siano stati negli ultimi decenni bravi e prolifici artisti votati al digitale, ma questi rappresentano comunque una fettina piuttosto piccola della grande torta prodotta dall'Arte Contemporanea in Italia.
Forse è arrivato il momento per iniziare a realizzare progetti fatti da artisti per gli smartphone: videogame "leggeri" e screensavers. E anche di attivare, nelle piazze delle più grandi città italiane, grandi schermi dove proiettare pubblicamente, a rotazione, opere digitali (Jenny Holzer nel 1982 iniziò questa pratica sui tabelloni di Times Square a New York). Inoltre alcune aziende potrebbero sostituire una parte della attuale committenza artistica, in evidente difficoltà, arruolando gli artisti per creare/rinfrescare il visual della loro comunicazione.
Molti eminenti personaggi della Cultura stanno scrivendo in questi giorni lettere e appelli al Ministro dei Beni Culturali per salvare i destini delle Arti. I prossimi mesi saranno cruciali. Bisognerebbe saper osare, come suggeriscono giustamente in molti, anche oltre lo stesso Internet. Per salvare la popolazione artistica è necessario pensare seriamente ad una versione italica e aggiornata del celebre Federal Art Project che gli USA organizzarono per sostenere l'Arte Americana dopo la Grande Depressione, tra il 1935 e il 1943. Ci vorranno, per cominciare, fondi pubblici (qualcuno, al solito, tira in ballo l'Europa....si vedrà...) ma per ottenere risultati concreti sarà altrettanto indispensabile una bella dose di umile disponibilità da parte di tutti noi. Senza dimenticare che 'sto maledetto virus, oltre che creare gravissimi e inattesi problemi, ha soprattutto messo in piena luce le magagne e le debolezze strutturali preesistenti.