1. DAGOSPIA HA FESTEGGIATO I SUOI PRIMI 14 ANNI E METTE AL MONDO WWW.DAGO-ART.IT 2. DAGO-ART TRATTA TEMI CHE RIGUARDANO TUTTO IL MONDO DELLE ARTI VISIVE: ARTE, CINEMA, ARCHITETTURA, DESIGN, GRAFICA MA ANCHE VIDEO, TECNOLOGIA, FOTO E FILM DI ARTISTA 3. IN ESCLUSIVA PER DAGO-ART, L’ANTEPRIMA DELL’AUTOBIOGRAFIA DI FRANCESCO BONAMI 4. "CURATOR", PIU' CHE IL RACCONTO DELLA SUA VITA, E’ UN J'ACCUSE SUL MONDO DELL'ARTE E I MOSTRI (MANCO TANTO SACRI) CHE LO ABITANO, DA ANISH KAPOOR A BONITO OLIVA 4. “ABO NON POTEVA PERMETTERE CHE QUALCUNO, IN PARTICOLARE UN GIOVANE CURATORE ITALIANO, GLI PORTASSE VIA ANCHE UNA SOLA BRICIOLA DI MERITO O UN CENTIMETRO QUADRO DI PALCOSCENICO. IL NARCISISMO CHE GLI IMPEDIRÀ DI DIVENTARE UN GRANDE CURATORE E CRITICO INTERNAZIONALE AVEVA GIÀ INIZIATO A PRODURRE I SUOI EFFETTI NEFASTI”

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francesco bonami e francesco vezzoli francesco bonami e francesco vezzoli

1. BUM! E’ NATO DAGO-ART.IT

Dagospia ha ormai 14 anni, compiuti lo scorso 23 maggio, e si può permettere di mettere al mondo DAGO-ART.IT, un sito che nasce da una costola del sito-madre ma accresciuto di contenuti autonomi.

 

A cura di Alessandra Mammì, Dago-Art tratta temi che riguardano tutto il mondo delle arti visive contemporanee: arte, cinema, architettura, design, grafica ma anche video, tecnologia, foto e film di artista.

 

ALESSANDRA MAMMI FRANCESCO BONAMI ALESSANDRA MAMMI FRANCESCO BONAMI

Come nella tradizione di Dagospia, Dago-Art si muove liberamente in quella galassia composita che va sotto il nome di ‘’arti visive’’, senza porre paletti e recinti, tra informazione, istituzione, curiosità, cultura, gossip.

patrizia-sandretto francesco bonami e opera di cattelan patrizia-sandretto francesco bonami e opera di cattelan

 

I più importanti articoli trattati saranno bilingue: tradotti in versione inglese e contrassegnati da un'apposita icona 

 

2. IN ESCLUSIVA PER DAGOSPIA: "CURATOR" AUTOBIOGRAFIA DI FRANCESCO BONAMI

Alessandra Mammì per Dago-art

 

Domanda: Perché gli attuali curatori a metà carriera scrivono l'autobiografia e i critici di un tempo invece scrivevano la summa teorica?

Risposta: Forse perché son rissosi, affettuosi ,emotivi, i loro difetti e pregi del carattere, insofferenze, passioni, grandezze e miserie del vivere quotidiano fanno parte del mestiere molto di più delle intellettuali speculazioni del critico.

 

E' un lavoro emotivo e se vogliamo persino romantico. Da qui nasce “Curator -  Autobiografia di un mestiere misterioso”: un centinaio di pagine, in libreria dal 17 settembre (ed. Marsilio) in cui Francesco Bonami dipinge se stesso e il mondo dell'arte con una sincerità quasi molesta.

 

Matthew Barney nel 1993 Matthew Barney nel 1993

Nessuna reticenza. Molte verità scomode. Alcuni consigli pratici tipo: «Il curatore è di solito un artista non bravissimo, un collezionista senza soldi, un romanziere così così».

Oppure: «Il bravo curatore è colui che sa afferrare il riflesso della gloria dell’autore per usarlo come una lampada abbronzante».

 

Un lungo racconto che spazia dall'America all'Europa, tra storie e aneddoti dove neanche i mostri sacri del contemporaneo vengono risparmiati. Tutti cadono sotto la Bonami penna.

 

Artist_Anish_Kapoor Artist_Anish_Kapoor

Le super star: «Incapaci di creare opere d’arte così belle, così fantastiche da far dimenticare la loro immensa stronzaggine. Uno tra coloro che non si è mai ripreso dall’essersi comportato da idiota è Anish Kapoor Magno, partito bene ma imploso durante la deflagrazione della sua pomposità atomica»

 

I grandi sponsor miliardari che il fundraising costringe a frequentare :«Una delle esperienze più «dolorose» della mia vita a Chicago fu la serata da Penny Pritzker e suo marito Brian. I due, amano mescolare ogni mese le carte della società di Chicago, invitando a cena persone che non c’entrano un cavolo le une con le altre, e che probabilmente avrebbero preferito rimanere a casa a guardare la tv. Tutti dai Pritzker, invece».

 

Achille Bonito Oliva Achille Bonito Oliva

I super manager museali uccisi dalla loro onnipotenza : «lo zar dei musei, Thomas Krens, colui che ha creato il mito del Guggenheim facendo costruire il Guggenheim Bilbao e minacciando di farne sorgere tanti altri in tutto il pianeta, in un eccesso di megalomania che a un certo punto fece correre il rischio allo stesso museo di finire in bancarotta. Oggi vaga per il mondo offrendo consulenze a chi ancora è disposto a credere che il modello Guggenheim-Krens possa davvero esistere».

 

Bonami, Tadao Ando e Alison Gingeras Bonami, Tadao Ando e Alison Gingeras

Ma si dà anche a Cesare quel che è di Cesare, dall'amicizia luci/ombre con compagni di strada da sempre, (Cattelan e Rudolf Stingel su tutti), a rivelazioni interessanti e soprendenti  tipo:  «Damien Hirst è uno degli artisti più generosi che abbia conosciuto. La sua generosità non è di tipo materiale, è una questione di stile. Hirst è diventato una pop star, eppure non si è mai disfatto di chi era partito con lui, dei suoi punti di riferimento. Ancora oggi è circondato da facce che gli stavano accanto venticinque anni fa. La sua arte è cambiata, si è trasformata, è degenerata, ma lui è rimasto fedele a se stesso, dote rara per un artista travolto da quel genere di successo»

Matthew Barney frame di un video del 1993 Matthew Barney frame di un video del 1993

 

Mentre risuona in tutto il libro, la battaglia per il turn-over generazionale, che lo fece passare (ben prima di Renzi a cui l'accomuna nascita e sarcasmo fiorentino) come un rottamatore ante litteram. Alla sua Biennale del 2003 chiamò a raccolta l'intera squadra dei giovani curators schiacciati dai grandi nomi della critica.Compreso uno davvero piccolo:l'allora 24enne Massimiliano Gioni.

 

«Passare il testimone non è una questione di generosità ma di furbizia. Chi è più giovane di te potrà portarti nuove energie senza che tu debba sprecare quelle poche che ti sono rimaste. Dare fiducia porta fiducia. L’avarizia curatoriale rende sterili. Imparare dal futuro è difficile, ma, se ci riusciamo, non solo il futuro non fa paura, ma non si rimpiange nemmeno il passato

Bonami con Marina Abramovic alla Fondazione-Prada Bonami con Marina Abramovic alla Fondazione-Prada

 

Chi non lo ha fatto si merita questo libretto con il racconto di tutte le carognate che il giovane Bonami subì nella sua carriera. A cominciare dal primo capitolo sulla Biennale del 1993 diretta da Bonito Oliva. Ecco il tagliente resoconto di quei frustranti giorni.

 

3. FRANCESCO BONAMI  - “CURATOR  - AUTOBIOGRAFIA DI UN MESTIERE MISTERIOSO”, MARSILIO

 

Capitolo primo

Venezia, 1993

Francesco Bonami Francesco Bonami

 

Achille Bonito Oliva, vestito di bianco, sta uscendo dai Giardini della Biennale insieme ai notabili della manife- stazione e forse qualche ministro. Nella piccola folla che li guarda il sottoscritto e Giancarlo Politi, editore della rivista «Flash Art».

 

Entrambi siamo sconsolati e depressi. Solo qualche ora prima Politi e la moglie, Helena Kontova, erano le eminenze grigie di quella sezione della Biennale intitolata Aperto, il gioiello dell’intera mostra, dedicata ai giovani artisti.

vezzoli bonami vezzoli bonami

 

Helena era addirittura la curatrice ufficiale di Aperto. Io il suo «braccio armato», acerbo curatore de- stinato a risolvere le mille grane con gli artisti e le disfunzioni dell’organizzazione della mostra.

 

Ma quel sabato di inizio giugno, il giorno dell’inaugurazione, al momento di raccogliere gli allori, ABO non li degna – e non mi degna – di uno sguardo. Un pasticciaccio attorno al catalogo con Politi, che ne pubblica uno parallelo senza chiedere troppi permessi, ha scatenato una grana legale e ABO, che mira alla riconferma per la Biennale del centenario nel 1995, non vuole più saperne di noi. Come Pietro nel Vangelo, ma senza la statura religiosa del santo, ci rinnega, non ci conosce. La cosa non mi sorprende.

 

Bonami a sinistra con Larry Gagosian al centro e altri amici Bonami a sinistra con Larry Gagosian al centro e altri amici

Poco prima, nel corso della premiazione e della consegna dei vari Leoni, avevo capito che l’amore dispensato da ABO a tutti noi, nei mesi e nelle settimane che avevano preceduto la mostra, era finito. Roberto Rosolen, il «Kissinger della laguna», factotum della Biennale, responsabile dei padiglioni, mi era venuto incontro con il tono di chi sta per svelarti il terzo segreto di Fatima, sibilando: «Non allontanarti troppo, il premio a Matthew Barney lo ritiri tu».

 

Barney era il giovane fenomeno che aveva vinto il Leone come miglior artista invitato alla Biennale sotto i trentacinque anni. Lo avevo portato io nella mia sezione, insieme a tanti altri che poi si sarebbero fatti notare. Di Barney si parlava già: era l’astro nascente, l’enfant prodige dell’arte contemporanea. Che avesse vinto il premio non mi stupiva tanto. Che dovessi ritirarlo io, invece – Barney era dovuto partire –, fu una sorpresa.

Francesco Bonami Francesco Bonami

 

Ma la gioia durò molto poco. Qualche minuto prima della cerimonia di consegna, Rosolen si avvicinò al tavolo della presidenza e all’orecchio di ABO, informandolo forse che Barney non c’era e che il premio lo ritirava il sottoscritto. Ma, al momento della consegna, non venni chiamato. ABO non poteva permettere che qualcuno, in particolare un giovane curatore italiano, gli portasse via anche una sola briciola di merito o un centimetro quadro di palcoscenico.

 

Il narcisismo che gli impedirà di diventare un grande curatore e critico internazionale aveva già iniziato a produrre i suoi effetti nefasti. Quel momento però fu per me rivelatore e sintomo di una realtà tutta italiana. La vecchia guardia mai avrebbe concesso alla nuova di occupare il suo territorio. Se la furbizia, di cui ABO è sicuramente molto provvisto, avesse prevalso sul suo animo tragicamente narciso, avrebbe capito che, facendo finta di lasciarmi un secondo di gloria, dopo avrebbe avuto tranquillamente tutto il tempo di cancellarmi o quanto meno di tenermi sotto controllo.

rudolf stingel rudolf stingel

 

Affetto dalla sindrome di Erode, voleva sterminare tutti i curatori fin dalla nascita. Ottenne invece l’effetto contrario, accendendo in me uno spirito di sopravvivenza e un orgoglio che dieci anni dopo mi avrebbero portato a sedermi nello stesso posto in cui quel giorno si trovava lui.

 

Facendo dietrologia o con il senno di poi, potrei dire che ABO avesse avuto quasi un sentore, una premonizione. In quel giovane smunto e un po’ timido si nascondeva forse colui che sarebbe diventato uno dei suoi peggiori nemici. Quello che poche settimane dopo, in un atto di rottamazione ante litteram, inviò una lettera al «Corriere della Sera» – miracolosamente pubblicata dall’allora direttore Paolo Mieli – in cui suggeriva ad Achille Bonito Oliva di prendersi un anno sabbatico da se stesso.

 

Maurizio Cattelan Maurizio Cattelan

Atto imperdonabile di lesa maestà. Suggerimento che ABO non seguì spontaneamente, ma che gli venne in qualche modo «imposto». La Biennale di Venezia del 1993 sarà l’ultima grande mostra curata da Bonito Oliva e la prima tappa della mia carriera, che mai avrei pensato mi avrebbe portato nel 2003 a dirigere l’intera Biennale.

 

Ad Achille Bonito Oliva devo però due cose molto importanti. La prima di avermi – forse senza nemmeno saperlo o volerlo – offerto l’opportunità di lavorare all’interno di questa assurda macchina fantastica che era, ed è rimasta, la Biennale di Venezia.

 

FRANCESCO BONAMI E STEFANO BOERI FRANCESCO BONAMI E STEFANO BOERI

La seconda è avermi fatto capire che non è possibile fermare il futuro; possiamo rallentarlo, boicottarlo forse, ma mai fermarlo. Questa lezione mi è servita per lavorare con tante persone più giovani di me che poi se ne sono andate per la loro strada, non senza avermi prima trasmesso una buona dose della freschezza dei loro sguardi e delle loro idee.

 

FRANCESCO BONAMI FRANCESCO BONAMI

L’errore di ABO non fu certo l’irrilevante decisione di non farmi ritirare un premio, ma, a monte, di non aver capito che io – come tanti altri della mia generazione avrei potuto essere semplicemente fonte di energia e di informazioni dalla quale succhiare tutto quello che voleva, da buon vampiro.

 

MARTA DASSU FRANCESCO BONAMI MARTA DASSU FRANCESCO BONAMI

Solo così un curatore può continuare a dire qualcosa d’interessante, anche con gli anni che inesorabilmente avanzano. Altrimenti il destino, altrettanto inesorabile, ci trasformerà in maschere di noi stessi, simulacri di un potere intellettuale che non ci appartiene più. Se si ragiona secondo il motto «dopo di me il diluvio», è facile che si finisca la carriera a farsi un pediluvio.

 

 

 

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