Syreeta McFadden per “AlterNet”
Se andate a vedere un museo con sculture greche e romane, vi renderete conto che le forme dei genitali femminili non sono reali. Le donne hanno un ginocchio piegato, il fianco curvo, la spalla inclinata, a volte la mano copre le modestie, ma il sesso è sempre liscio. Nessuna fessura, niente labbra vaginali. Sono veneri senza vulva.
Per le sculture maschili è tutto diverso, è un tripudio di falli e testicoli, peni di marmo a riposo ed eretti. Non esisteva la vagina al tempo? Gli archeologi erano così innamorati del membro maschile che nei secoli hanno salvato solo quello? Il patriarcato tenta di cancellare l’intimità della donna sin dalla notte dei tempi. Distruggi l’immagine e controllerai la narrazione.
I pagani adoravano Astarte, la dea della fertilità Inanna scese agli inferi per espandere il suo potere, la venere di Willendorf aveva una vagina ben scolpita. Qualcosa poi è cambiato, e la vulva è divenuta sinonimo di oscenità e vergogna. La scrittura e la letteratura hanno legittimato l’inferiorità della donna, come si legge nelle opere di Plato e Aristotele.
L’arte ha rispecchiato il cambiamento, venerando il fallo e definendo la vagina simbolo profano di caos e irrazionalità. Queste sculture rappresentano il valore (ideale) del ruolo sociale di uomo e donna, un’eredità che subiamo ancora oggi. Ci portiamo ancora dietro quel senso di vergogna per l’anatomia femminile. E’ per questo che la nostra preoccupazione principale oggi sembra essere la depilazione totale? Per confermare agli uomini che la nostra vagina è liscia e innocua?