Antonio Riello per Dagospia
women new portrait annie leibovitz
Stavolta, parliamo di donne. A Londra, WOMEN: NEW PORTRAIT by ANNIE LEIBOVITZ e CHAMPAGNE LIFE. Due mostre diversissime entrambe focalizzate sul tema dell’esistenza al femminile. No, non vi preoccupate. non è l’8 Marzo, quando questo tipo di manifestazioni - rituali di occasione spesso insinceri e stanchi - fioccano numerose e benvenute come le zanzare d’estate.
women new portrait annie leibovitz
Annie Liebovitz nasce come fotografa di moda, poi leggenda del femminismo negli anni 70’/80’ a New York sino a diventare un’acclamata star dell’arte contemporanea. Una di quei personaggi che oggi (espressione forse un po' abusata), vengono senz’altro definiti dai media come “iconici”. L’artista mostra alla Wapping Hydraulic Power Station in anteprima - poi prossimamente migrerà a Tokyo, Istanbul, New York e Zurigo- il suo progetto “Women”, iniziato addirittura nel 1999.
Potremmo definirlo un “dizionario enciclopedico visuale” di donne eminenti. Per eminenti non intendo necessariamente donne di potere o dive consacrate da qualche forma di fama mediatica ma piuttosto capaci di rappresentare, nel loro insieme, le varie tipologie, casi e condizioni femminili all’inizio del XXI secolo.
women new portrait annie leibovitz
Tra le tante foto una intimidente Marina Abramovic, un’incantata Adele, una preoccupata Serena Williams e una (anonima) signora sudafricana malata di HIV il cui volto intenso racconta, silenziosamente e con grande compostezza, dolore e rassegnazione. Le foto sono tante, onestamente molto affascinanti. Un progetto ricco, articolato e ambizioso. In modo intelligente assolutamente “politicamente corretto” e anche molto bilanciato. Tecnicamente perfetto.
women new portrait annie leibovitz
E forse sta proprio qui il problema. Perché in un certo senso finisce per esserci sempre un po’ troppo glamour e i soggetti, assolutamente meritevoli, cominciano a trasformarsi e somigliare un po’ a delle fascinose modelle. Ecco quindi una sorta di intima contraddizione tra gli scopi di questo progetto e lo stile con cui visualmente si configura.
In questo caso addirittura molti aspetti critici e terribili della condizione femminile rischiano di passare in secondo piano sopraffatti dalla proverbiale abilità professionale della fotografa, diventando paradossalmente troppo “belli”. Per l’appunto un certo sottile squilibrio tra la “forma” e le intenzioni legate al “contenuto”. Come quando al liceo i professori ci parlavano di letteratura assillandoci con il classico “la forma è il contenuto e il contenuto è a sua volta la forma”. E mai come in questo caso, avevano proprio ragione.
women new portrait annie leibovitz
CHAMPAGNE LIFE (il nome richiama il titolo di un opera in mostra dell’artista Julia Watchel, anche se curiosamente lo sponsor principale è una nota marca di Champagne….) alla Saatchi Gallery è quella che tecnicamente viene definita: “una mostra collettiva con un forte orientamento sessuale”.
In pratica, un’ambiziosa esposizione con i lavori di 14 artiste (Julia Watchel, Sigrid Holmwood, Mia Feuer, Maha Malluh, Soheila Sokhanvari, Virgile Ittah, Jelena Bulajic, Suzanne McClelland, Julia Dault, Marie Angeletti, Mequitta Ahuja, Stephanie Quayle, Seung Ah Paik, Alice Anderson) e che ha suscitato parecchie polemiche e perplessità. Innanzitutto viene da chiedersi se in fondo una mostra di sole donne, non finisce per essere una clamorosa forma di auto-ghettizzazione soprattutto in un paese da sempre super attento agli equilibri delle varie parti della società.
champagne life saatchi gallery 6
Evidentemente il problema è pericolosamente in agguato ogni volta che il criterio curatoriale è soprattutto legato all’identità personale degli artisti coinvolti (tipo perché non solo artisti dai capelli rossi o più piccoli di 1,50 mt o sempre tutti vestiti di viola...). E ancora, ci si potrebbe interrogare se tutto questo non sia una mossa storicamente datata. Nel senso che ormai l’arte contemporanea sembra aver superato le questioni di “gender” a favore di altre emergenze certo più drammatiche e urgenti.
untitled food for thoughts maha malluh
Da ultimo, la celebre ed influente Rubell Family Collection di Miami ha inaugurato nel Dicembre 2015 una colossale mostra di sole donne dal nome “No Man’s land” e quella londinese, aperta il 13 Gennaio, potrebbe anche sembrare una copia in scala ridotta - e in ritardo - di quest’ultima. Certo è che la professione dell’artista è sempre stata difficile, ma quella dell’artista di sesso femminile oggettivamente sembra esserlo ancora di più.
Secondo delle statistiche riportate dal Financial Time, a dispetto del fatto che negli ultimi 20 anni il 60% degli iscritti nelle scuole d’arte americane siano femmine, alla Biennale di Venezia del 2015 solo il 33% delle opere erano state realizzate da donne. Quindi la necessità di sottolineare una scelta di genere ha, in qualche modo, ancora una sua precisa ragione. Il fatto è che questa è una bella mostra con alcune opere straordinarie che fanno passare in secondo piano qualsiasi questione metodologica preventiva.
champagne life saatchi gallery 4
L’installazione dell’artista anglo-saudita Maha Malluh, “Untitled – Food for Thoughts series 2015” di per sé vale la visita. La sala è dominata da una enorme parete ricoperta con centinaia di pentole usate, di varie forme e dimensioni, di cui vediamo solo il fondo consunto e bruciacchiato. Di solito l’invisibile lato del cucinare. Tutto il millenario e silenzioso faticare delle donne ai fornelli è qui rievocato con estrema potenza. Nessuna concessione a una facile nota “etnica” (la tentazione avrebbe potuta esserci). Tutto ciò che si vede è perfettamente necessario e sufficiente.
I tre grandi ritratti di anziane signore realizzati della serba Jelena Bulajic, sono una geniale versione contemporanea dell’ Iperrealismo di Chuck Close e dei suoi grandi ritratti della fine degli anni 60’. Un forte e travolgente tributo alla condizione femminile, senza indugiare in alcun modo con i soliti trucchetti del glamour. Qui un elemento attualissimo: un trionfo di rughe, “zampe di gallina” e qualsivoglia genere di segno che il tempo sa lasciare su un volto. E in tempi di “botox democratico”, ciò che qui vediamo si tramuterà presto in una sorta di “archeologia della faccia”, un’ antica anatomia per il futuro.
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L’inglese Stephanie Quayle usando una creta particolare (una specie di “das”) realizza mucche e leoni in scala 1:1 indagando con ironia la comune percezione dell’idea di “domesticità”. Un superbo e affascinante esercizio scultoreo che gioca sapientemente con il lessico vernacolare britannico (la parola “cow” ovvero mucca e’ talvolta usata, senza essere necessariamente offensiva, come sinonimo di “donna”). L’ennesima prova di come un approccio indiretto e meno scontato verso una certa tematica è artisticamente spesso il più efficace.
Nell’ultima sala, al piano superiore, un rocchetto di filo (“Bound” del 2011) e un gomitolo (“181 Kilometers” del 2015) dell’artista londinese Alice Anderson. Semplici oggetti definitivamente legati al destino “umile” di chi cuce e rammenda ma dalle dimensioni davvero colossali. Uno spettacolo. per occhi e mente.
champagne life saatchi gallery 2
La bobina gigante, in legno e rame lascia lo spettatore senza fiato. Il gomitolo, letteralmente fatto da 181 kilometri di filo di rame, fa sentire direttamente tutto lo sforzo fisico, la concentrazione, l’alienazione e il tempo investiti per la sua realizzazione.
A proposito di donne, da notare che Sir Charles Saatchi, il Patron della Saatchi Gallery, non molto tempo fa ha pubblicamente aggredito, durante un pranzo nel noto ristorante Scott ‘s, Nigella Lawson (ora la sua ex moglie) suscitando un forte clamore mediatico. Ma questa è un’altra storia...
champagne life saatchi gallery 5
CHAMPAGNE LIFE
Saatchi Gallery
Duke of York HQ, King’s Road, London SW3 4RY
Fino al 9 Marzo 2016
WOMEN: NEW PORTRAIT by ANNIE LEIBOVITZ
Wapping Hydraulic Power Station
London E1
Fino al 7 Febbraio
champagne life saatchi gallery 1