Antonio Riello per Dagospia
La frenetica settimana di Frieze Art Fair offre inaugurazioni a volonta’. Tutti, gallerie e musei, colgono l’occasione per attrarre i visitatori che arrivano per la fiera.
Tate Modern, dopo la debacle procurata dal lavoro esasperatamente concettuale (in pratica non percepibile, addirittura quasi inesistente) di Philippe Parreno, ha deciso di proporre per la sua grande Turbine Hall un’opera realizzata da un collettivo di tre artisti danesi Superflex (J. Fenger, R. Nielsen, B. Christiansen). “One Two Three Swing!” e’ una installazione, strutturata essenzialmente in due parti, fruibile fino al 2 Aprile 2018.
Nella prima, verso l’ingresso, c’e’ una moquettona colorata che copre tutto il pavimento, i colori, disposti a righe, sono (piu’ o meno) quelli delle banconote britanniche. Ci si puo’ stendere (o sedere) e rilassare. Da li’ si assiste al lento movimento oscillatorio di una grande sfera in acciaio cromato (specchiante e riflettente) sospesa ad una catena. Sembra un gigantesco angosciante pendolo.
Ma assomiglia anche a quelle palle di ferro usate per demolire gli edifici pericolanti. Metafora sicuramente della pericolosa instabilita’ del nostro mondo. Ma forse anche della fragilita’ della moneta britannica, e probabilmente di molte altre cose ancora… Una visione quasi ipnotica che fa comunque il suo effetto.
La seconda parte, senza moquette e molto ampia, e’ costituita da una specie di foresta di altalene colorate (sono davvero molte) la cui seduta e’ sempre a tre posti. Le altalene sono a totale disposizione del pubblico, le si possono usare da soli, in due o in tre. Ma funzionano meglio (sono molto piu’ bilanciate) quando le si usano in tre.
Questo presuppone la ricerca di qualche compagno/a e quindi una qualche forma di interazione sociale. Un intelligente suggerimento insomma a cooperare nella vita (e nell’arte). Il termine swing tra l’altro ha una sua insita ambiguita’ nella lingua inglese: sta naturalmente per “altalena” ma sta anche per “divertente”, “eccitante” ma puo’ significare pure “scambio di coppie”, nel senso di scambio dei partner per fare sesso.
L’installazione e’ proprio quel genere di cose che viene definito dagli specialisti come “Arredo Urbano”. In poche parole un complesso parco giochi per adulti, con forme e colori perfetti, di stile molto scandinavo (dominano il grigio, il verde squillante e l’arancione vivo, e, a dire tutta la verita’, si sente nell’aria vagamente un certo effetto Ikea…).
Gli artisti di Superflex hanno in genere questo approccio artistico, legato all’antropologia urbana e ad un’arte “usabile”, se non addirittura funzionale. E comunque sono sempre felicemente armati di una potente irriverenza. Questo in particolare e’ un intervento molto intrigante: dialoga disinvoltamente e giocosamente con il sofisticato ed esigente sistema dell’arte contemporanea ma sa divertire e sedurre anche un pubblico piu’ vasto e meno tradizionalmente legato alle alchimie dell’Arte.
La galleria Blain & Southern, nella sua sede di Hanover Square, mette in mostra i lavori piu’ recenti di Jake & Dino Chapman: “The Disasters of Everyday Life”. Questi due artisti fratelli-artisti divennero famosi con la mostra “Post Human” del 1993 che fece conoscere il tutto il mondo i loro ragazzini mostruosi. Il diabolico e talentuoso duo stavolta non si limita a sventrare, sgozzare ed esibire il loro solito teatro della crudelta’ (seppure sempre con molto talento).
Intanto per cominciare ritornano ad usare le famose e cupe incisioni di Goya, conosciute come “I disastri della Guerra” illustrano la feroce guerriglia del popolo spagnolo contro gli invasori napoleonici. Ma adesso le “torturano” astuziosamente in modo diverso. Una serie le trasforma come se fossero dei disegni di bambini, piene di colori sgargianti e di glitters, stile scuola materna. Una violenza senza fine che sembra vista dal punto di vista di un’infanzia, forse non sempre completamente innocente. L’altra serie, piena di uccellini, topini, coniglietti, gatti e gattini (tragici e deliziosi allo stesso tempo) ricorda molto da vicino (ma a tinte piuttosto fosche) un classico britannico, ovvero i libri di Beatrix Potter.
Poi il tema del terrorismo. Sempre a modo loro. Una decina di calchi in bronzo perfetti fin nei minimi particolari, copie di diverse tipologie di giubbotti esplosivi (quelli indossati dai kamikaze jiahidisti per farsi salare per aria). La trasformazione in opera d’arte (con tutti crismi necessari) di uno strumento di terrore (e la scelta del bronzo e’ significativa e non casuale) risponde perfettamente alla poetica e alla metodologia dei due fratelli londinesi. La questione di fondo e’ (e rimane) l’Arte nobilita’ e trasforma davvero la realta’ (anche quella piu’ tremenda), o invece la puo’ solo freddamente e pedantemente riprodurre?
Arcangelo Sassolino presenta alcune delle sue portentose invenzioni, “Matter Revealed”, nella sede londinese della Galleria Repetto, in Bruton Street. Energia trattenuta e, per cosi’ dire, “congelata”. Questa e’ la cifra di Sassolino.
Un discorso che sembra provenire probabilmente dalle ricerche di Anselmo e di altri artisti dell’Arte Povera degli anni settanta, ma che evolve verso una concretezza meccanica (e pneumatica) assolutamente nuova e drammatica. Lo “sforzo” a cui sono sottoposti i materiali (e la loro “tenuta”) sono realmente indagati e spudoratamente messi in mostra. Si passa dall’“atto” alla “potenza”. Sembra una faccenda tecnologica ma e’ molto piu’ poetica di quanto non si possa supporre. Invenzioni fortemente umanistiche. Ingegneria tramutata in arte.
La galleria e’ piccola e presenta due sole opere. Ma tanto basta. Ci sono dei pneumatici sotto uno stress spaventoso fanno quasi paura nella loro minacciosa immobilita’. Poi, in una altra sala, un incredibile marchingegno provvisto di robusti funi in acciaio che inesorabilmente spezza, con lentezza, robuste travi di rovere. Tutto (rumori compresi) in diretta. Impressionante. Una non comune scheggia di genio italico.
Timothy Taylor Gallery espone per l’occasione Alex Katz in un nuova veste definibile come “sostenibile”. Katz senza i suoi celeberrimi ritrattoni e con una serie di dipinti dove campeggiano, senza esseri umani di sorta, foreste ed alberi.
Il successo e la vendita sembrano arridere a chi sta nei trend stabiliti. Oggi “tira” la Natura. David Hockney nella sua mostra alla Royal Academy, dove celebrava i boschi del suo nativo Yorkshire, ha avuto il record assoluto di visitatori per una mostra londinese. Il gallerista ha deciso di scegliere dunque opere rurali. L’artista, che porta bene i sui novanta anni, le aveva comunque realizzate anni fa, in tempi assolutamente non-sospetti. Certo e’ che ormai il mercato dell’arte contemporanea e’ piena zeppo di alberi e foglie.
Un po’ un cliche’. Anche Camille Paglia oggi al posto del suo famoso saggio “Sexualis Personae” molto probabilmente deciderebbe di scrivere “Naturalis Personae. Insomma: “Natura First!” (per dirla “trumpianamente”).
I lavori piu’ belli ed interessanti di questa mostra consistono probabilmente in una serie di fogli di notebook, dove l’artista ha schizzato con la penna scene quotidiane e semplici (gente in autobus o nel metro’). Sono messi in secondo piano rispetto ai quadri. Dei disegni molto vivi che raccontano una vita cittadina solitaria e un po’ triste.
Ricordano certe atmosfere del pittore americano Edward Hopper. Sono serviti per realizzare poi dei dipinti. Il processo creativo che procede e accompagna la realizzazione dell’opera e’ sempre una faccenda importante ed affascinante. In alcuni casi, lo sappiamo tutti, anche piu’ significativa e convincente dell’opera stessa.
SUPERFLEX “One Two Three Swing”
TATE MODERN, Turbine Hall
Bankside, SE1 9TG Londra
JAKE & DINO CHAPMAN “The Disasters of Everyday Life”
BLAIN & SOUTHERN GALLERY
4 Hanover Street, W1S 1BP Londra
Arcangelo Sassolino “Matter Revealed”
REPETTO GALLERY
23 Bruton Street, W1J 6QF Londra
Alex Katz “Alex Katz”
TIMOTHY TAYLOR GALLERY
15 Carlos Place, W1K 2EX Londra