ARRIVA LA “NESPRESSO DEL GELATO” – SI CHIAMA “TOOA” ED È UNA MACCHINA CHE PERMETTERÀ DI FARE IL GELATO ARTIGIANALE IN CASA IN SOLI 3 MINUTI – AL POSTO DELLE CAPSULE CI SARANNO DEI BRIK E LA MACCHINA SI POTRÀ CONTROLLARE CON UN’APP - L'AZIENDA NASCE DA UN'IDEA DI MARIA PAOLA MERLONI E GIULIO ZUCCOLI E AVRÀ SEDE A FABRIANO: “PER RIPORTARE QUALCOSA ALLA CITTÀ. RICREARE UN'INDESIT È IMPOSSIBILE, NON DISPERDERNE L'ENORME KNOW HOW NO. PER NOI, È PERFETTO”… - VIDEO

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Raffaella Polato per “L’Economia - Corriere della Sera”

 

Lei, l'azionista, non ha bisogno di presentazioni. Lui, il manager, sì. Per ora. Perché se la scommessa imprenditoriale di Maria Paola Merloni centrerà l'obiettivo (come a tutte le nuove iniziative: auguri) insieme avranno fatto una piccola rivoluzione. 

 

E la firma operativa sarà la sua: Giulio Zuccoli. Ventinove anni (paragone impegnativo, ma di buon auspicio: la stessa età di Andrea Guerra quando Vittorio Merloni, padre di Maria Paola, lo chiamò in Indesit), studi a Londra con master al King' s College, prime esperienze tra Accenture e l'investment banking di Klecha & Co., è l'uomo che dovrà tradurre in business un'intuizione. 

 

Ovvero: fare con il gelato artigianale quello che Nespresso ha fatto con il caffè. Una macchinetta, una capsula che in questo caso è un brik, e tutto ciò che serve per una monoporzione veloce è in cucina. E in un'app. Banale, forse. Però.

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 Primo, nessuno ci aveva pensato. Secondo, Nespresso ci ha messo anni, a sfondare, ma quando è partita alla conquista dell'Italia - la patria del culto-tazzina - e ce l'ha fatta, il resto del mondo è stato quasi uno scherzo. Anche questo è evidentemente un auspicio, più che un improbabile paragone. Gli svizzeri che hanno incapsulato il caffè hanno spalle larghe di loro e, dietro, quelle ancora più forti della casa madre Nestlé. 

 

Possono permettersi George Clooney testimonial. Se decidono di sfondare nell'universo social, ci mettono niente a firmare con Chiara Ferragni. Gli italiani che riempiono i brik di crema, cioccolato, pistacchio, ne assicurano la lavorazione artigianale, promettono un gelato perfettamente amalgamato in tre minuti tre, le spalle devono invece farsele. Il primo negozio-bandiera, passata la fase dei test in un temporary shop a Firenze, lo apriranno solo a novembre, a Milano. 

 

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TooA - questo il marchio: al di là del gioco di pronuncia, la «T» sta per tecnologia, le due «o» richiamano le palline di gelato, la «A» chiude il cerchio indicando l'artigianalità - è insomma in tutto e per tutto una start up. Nata, peraltro, nel periodo peggiore che potesse capitare. 

 

Settembre 2019. Quattro mesi dopo, sarebbe scoppiata la pandemia che tiene ancora in ostaggio il mondo. Vale la pena iniziare da allora, dai giorni in cui l'azienda è stata fondata, altrimenti non si capisce se le chance che parecchie nuove idee imprenditoriali hanno in teoria, nella pratica possano contare su basi buone per (effettivamente) mettere radici e crescere.

 

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 Qui, a valere non è tanto - o non solo - la voglia di Maria Paola Merloni di restituire a Fabriano almeno un pizzico di quanto Fabriano ha perso quando, senza più il genio industriale di Vittorio, la famiglia ha deciso che non era in grado di gestire il colosso Indesit e ha preferito vendere a Whirpool (un disastro, dal punto di vista delle fabbriche italiane e relativi territori). Ha fatto anche questo, certo. 

 

Per la sede e per l'impianto che in TooA «stiamo valutando di costruire» Mpm - la sua sigla nelle mail tra collaboratori - avrebbe potuto scegliere un ovunque qualsiasi, in Italia, e la logica sarebbe stata dalla sua: pochi posti sono più logisticamente scomodi di questa bellissima città nel cuore delle Marche, regione altrettanto splendida dove però, come ricordava spesso Vittorio, «le Ferrovie sono ancora quelle dello Stato Pontificio e la via Flaminia, se Mussolini non avesse avuto un interesse personale a Rimini, sarebbe ancora quella del console romano». 

 

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Invece (e non è solo questione di legami affettivi): «Volevamo riportare qualcosa a Fabriano, sì. Ricreare un'Indesit è impossibile, non disperderne l'enorme know how no. Per noi, è perfetto». 

 

E così. L'azienda è piccola, a oggi conta appena una ventina di dipendenti diretti e una decina «a chiamata», ma i pezzi con cui un terzista (in attesa dell'impianto in proprio) assembla le TooA machines arrivano da una filiera interamente marchigiana (al contrario del preparato per i gelati, fatto in Piemonte «con macchinari nostri e personalizzati»). 

 

Né può essere lontana la «testa»: «Con poca fatica, devo dire, ho convinto i manager a venire almeno due settimane al mese a Fabriano, perché non sia solo una città-fabbrica». Lei fa lo stesso. Soprattutto: non ha mai mollato il progetto. Sarebbe potuto succedere subito, quando la pandemia è scoppiata e il viaggio della start up ancora solo immaginata era diventato, già, un percorso a ostacoli. 

 

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È andata in questo modo, invece. A marzo 2018, Merloni chiude la sua parentesi parlamentare. Sette anni a Montecitorio e cinque a Palazzo Madama le sono bastati. E se ha sempre considerato la politica un impegno a tempo determinato, ciò che pensa dell'esperienza sta nel modo in cui l'ha salutata: smobilitata subito casa (e tutto il resto) a Roma, dopo Fabriano la sua vera città diventa Milano. Non è un caso. Se cerchi un'idea in cui investire e, più ancora, che ti appassioni, resta il posto migliore. Anche se poi a dartela, l'idea, è un vecchio amico, ex manager Indesit, all'epoca top manager Ferrero.

 

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 Aldo Uva le segnala che, da Londra, hanno ricevuto la proposta di sviluppare una macchina per il gelato-espresso. Hanno detto «no», non rientra nel core business, per cui: «A te interessa?». Sì. Le piace il binomio Food & Tech, intravvede le potenzialità. Perciò vola Londra, avvia le trattative, alla fine compra direttamente il brevetto e si fa rifare su misura una macchina più piccola nonché (ovvio per noi, meno per gli inglesi) di alto design.

 

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 Nel frattempo ha trovato quello che sarà l'amministratore delegato, cioè Zuccoli, e sia a lui che a Uva ha offerto una quota di minoranza. Partono a settembre 2019, con le analisi di mercato. Sarebbero più che incoraggianti. Se a mandarle in tilt non arrivasse il virus che chiude il mondo. È lì che TooA si sarebbe potuta fermare. Sparire, forse. Merloni, Zuccoli, Uva decidono invece di continuare a investire. Otto milioni (a zero debiti) non saranno una cifra enorme, ma non è neppure poco per una start up che, quasi non ancora nata, deve subito cambiare il business plan. Causa lockdown scivolano a chissà quando la produzione, quindi le aperture di negozi e le vendite online, dunque anche il pareggio operativo. 

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La road map iniziale lo prevedeva il primo anno. Slitta al terzo. Ora dovremmo esserci. «Con il piano stand alone - dice Zuccoli usando un'espressione che lascia intendere possibili alleanze future - saremo in grado di produrre 45 mila macchine nel 2022, per un fatturato di 12-13 milioni che salirà a 20 con i brik degli ingredienti, arriveremo a 100 mila pezzi nel 2023, raddoppieremo nel 2024. Iniziamo da qui, dall'Italia, perché è il test più difficile e sarà - se lo passiamo - il migliore spot possibile». 

 

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Dopodiché, il percorso prevede Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo. Poiché TooA sarà all'Expo di Dubai, «potremmo sbarcare subito anche nei Paesi del Golfo». Se non ci fosse un problema: «Non possiamo produrre, non ci sono le schede elettroniche». È l'ennesimo sgambetto (globale) del Covid. I chip scarseggiano al punto che il loro prezzo è ormai assurdo. 

 

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Difficile crederci, se la telefonata che Zuccoli aspettava non arrivasse nel mezzo della chiacchierata: «Da 91 centesimi a 70 euro per una scheda. Oppure consegna a 50 settimane». Tanto per dire che cosa ha fatto via via slittare l'esordio di TooA, nel suo piccolo. E che cosa - in grande - rischia di frenare la ripresa.

 

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