Paolo Madron per https://www.tag43.it
Articolo quinto, chi ha i soldi ha vinto. Capitalismo padronale contro capitalismo delle autonomie, proprietà contro manager, ragioni del mercato che spesso mal si sposano con quelle del portafoglio.
La battaglia per il controllo delle Assicurazioni Generali riassume un po’ tutto questo, e come andrà a finire è difficile dirlo. Per il momento limitiamoci a descrivere cos’è, caricando con l’enfasi che merita questa madre di tutte le battaglie finanziarie del millennio, il grande conflitto che promette di inscenare e che ha come epicentro il più importante gruppo finanziario del Paese.
E sarà per questo che i suoi protagonisti sono tutti ipersensibili, e chi fa da spettatore a bordo ring (giornali compresi) così restio a prendere posizione salvo i casi in cui non ci sia un interesse conclamato.
Anche se bisogna dire che l’uno-due messo a segno da Caltagirone e Del Vecchio che ha portato la inossidabile coppia al 25 per cento di Mediobanca getta una pesante ipoteca sul risultato finale.
Chi ha i soldi ha vinto, in genere dovrebbe funzionare così. E loro di soldi ne hanno tanti, se è vero che senza colpo ferire hanno messo sul tavolo 3 miliardi di euro per aggiudicarsi la posta. E altri ancora ne metteranno alla bisogna, per seppellire sotto una cascata di denaro la teoria (di cui fu proprio piazzetta Cuccia l’interprete più blasonato) che le azioni si pesano e non ci contano. Ammesso che non l’abbia già seppellita la storia, relegandola ai libri che la raccontano.
IL 2 AGOSTO PER GENERALI UN CDA DI FUOCO
Ma prima che l’estate prenda del tutto il sopravvento e i signori del denaro mollino gli ormeggi, c’è ancora un appuntamento che può suonare da indizio della guerra che in autunno vivrà i suoi momenti decisivi.
Il 2 agosto le Generali hanno in programma un consiglio d’amministrazione dove si dovrebbe cominciare a discutere dell’introduzione della lista del cda sulla quale la prossima assemblea sarà chiamata votare per il rinnovo dei vertici.
La lista del cda, per capirci, è quella con cui i manager di Mediobanca hanno salvato la propria autonomia frenando, anche complici i ferrei vincoli della Bce, gli appetiti della coppia di cui sopra.
Se il metodo di governance dovesse passare identico anche a Trieste, è molto probabile che la medesima coppia fatichi a imporre la supremazia che il denaro le attribuisce. Ma anche con il cda che andrà in scadenza il prossimo aprile non sarà per loro una passeggiata. Devono dunque agire prima.
Ma c’è un problema: Caltagirone, Del Vecchio e i loro alleati non controllano la maggioranza dell’attuale consiglio della compagnia. Il fatto di essere insieme di gran lunga i prima azionisti non dà loro mano libera. Decisivo vedere come si muoverà Mediobanca, che della compagnia assicurativa con il 13 per cento è il primo singolo socio. Non a caso è sull’istituto fondato da Enrico Cuccia che il patron di Luxottica e il costruttore romano hanno tenuto alta la pressione, giustamente convinti che l’inevitabile resa di Trieste passi per la conquista di Milano. Sarà davvero così?
DEL VECCHIO E CALTAGIRONE NON HANNO LA MAGGIORANZA DEL CDA
Situazione complessa, scenari molti e non immuni da geometrie variabili. Sorprese in agguato magari con l’arrivo di un terzo incomodo che scompagina i giochi, banchieri in cerca di gloria o ex banchieri ora governanti. Pronostici e domande: e se il cda di Generali facesse finta che nulla sia successo andando avanti con la proposta che gli assegna il diritto di formulare la lista dei prossimi amministratori? Solo al pensiero a qualcuno ribolle in sangue.
Perché se così fosse è scontato che vi appaia il nome dell’attuale numero uno Philippe Donnet che verrebbe quindi proposto per un terzo mandato. A quel punto cosa possono fare Caltagirone e Del Vecchio? Tutto meno che rassegnarsi. E siccome è inimmaginabile la loro adesione alla lista del cda, ne farebbero una alternativa. Nomi loro e pugni sbattuti sul tavolo pronti alla prova di forza. Ma avrebbero i numeri per farla passare? Sulla carta no. Perché ciò avvenga è indispensabile che Mediobanca si schieri dalla loro parte.
A quel punto gioco, partita e incontro per i due. Ma può piazzetta Cuccia dopo che l’ha proposta votare a Trieste contro la lista del cda? Ci sono due elementi che rendono l’ipotesi poco plausibile. La prima è il venir meno della coerenza, dovendo piazzetta Cuccia bocciare a Trieste la governance che ha faticosamente conquistato a casa sua. Ma la coerenza, si sa, si può anche incartare e mettere nel cassetto dei ricordi sperando che l’oblio prevalga sulla futura memoria.
CON CHI SI SCHIERERÀ MEDIOBANCA?
È invece un secondo elemento che rende la cosa assai complicata. Se Mediobanca si unisse a Caltagirone, Del Vecchio, Benetton, Crt e compagnia, la lista cadrebbe nell’azione di concerto quindi nel relativo obbligo di opa sull’intero capitale del gruppo. Giusto per chi non ci avesse fatto caso, venerdì 23 luglio Generali registrava una capitalizzazione di borsa di 26,5 miliardi. Più che una cifra, un’iperbole.
Si profila dunque un grande lavoro per gli avvocati (guarda caso con Del Vecchio c’è quel Sergio Erede il cui nome spunta dietro molti altri dossier, in primis Rcs) i quali dovrebbero dare fondo a tutta la loro leguleia sapienza per sminare il rischio di una impraticabile offerta pubblica. Meglio dunque rinviare tutto alle più fresche temperature settembrine? Decisione forse saggia, non fosse che le cose si sono spinte talmente avanti che immaginare anche una breve tregua appare poco realistico. L’atmosfera è così tesa e spessa che si taglia col coltello.
E poi meglio battere il ferro finché è caldo, e per questo cade a fagiolo il cda del 2 agosto dove sarà braccio di ferro tra i consiglieri del Leone. Ammesso che non si parli di lista del consiglio, si dovrebbe quanto meno impostare il calendario dei prossimi appuntamenti per la presentazione del nuovo piano industriale prevista il 15 dicembre. Le avvisaglie sono che non si faranno prigionieri, almeno a sentire le indiscrezioni che raccontano come il fronte avverso all’ad Donnet abbia già chiesto di sospendere tutto.
matteo del fante poste italiane 2
Cosa che per il francese diventato italiano suonerebbe come una sentenza di morte. Intanto, si aspetta di sapere come deciderà di muoversi Alberto Nagel, l’ad di Mediobanca che dopo qualche cedimento sembra essere più baldanzosamente tornato a una decisa difesa dell’autonomia triestina. E soprattutto come reagirà il medesimo Donnet di fronte alla goccia cinese che da mesi sta scavando le fondamenta della sua poltrona. Non avendo, come amava dire Francesco Micheli per denotare l’opulenza di qualcuno, il problema di mettere insieme il pranzo con la cena, egli potrebbe anche dire: signori mi avete rotto, me ne vado.
Per non lasciare nulla al caso, ma soprattutto per stressare la loro determinazione, gli assalitori del Leone fanno già circolare il nome del suo possibile sostituto. Tra i più gettonati Matteo Del Fante, attuale ad di Poste Italiane, e Marco Morelli, ex numero uno di Montepaschi (altro dossier che scotta nelle mani sin qui impotenti del Mef). Poi, come da tradizione, ci sono gli interni. Che si riducono a quattro nomi: Jean-Laurent Granier, il capo di Generali Francia. Marco Sesana, il numero uno di Generali Italia. Giovanni Liverani, responsabile della Germania. E, last but not least, Luciano Cirinà, regional officer per i Paesi dell’Est.