Alessandro Barbera per ''la Stampa''
Mancava solo il fondatore nella trattativa per la rete unica a banda larga. In un post apparso ieri sul suo blog, Beppe Grillo manda messaggi a tutti i protagonisti: al Movimento, al numero uno di Cassa depositi e prestiti (voluto lì dai Cinque Stelle) Fabrizio Palermo, a quello di Enel Francesco Starace.
Il senso è lo stesso di Giuseppe Conte l'ultimo giorno degli Stati generali: la fusione fra Tim e Open Fiber s' ha da fare. Grillo chiede si superi «l'assurdo dualismo fra Tim e Open Fiber», dice che l'operazione «deve ruotare attorno al ruolo di Cdp», che Enel «non è compatibile con il progetto, perché ad Open Fiber si comporta da padre padrone». Un intervento a cui in serata risponde il Pd, dopo una riunione di partito sul tema, tramite la responsabile innovazione Marianna Madia: se la banda larga è così importante, mette in guardia, «ogni decisione non può essere assunta senza una discussione adeguata o sulla base di qualche post su internet».
L'emergenza Covid ha evidentemente convinto i Cinque Stelle che la questione della banda larga è tema politicamente rilevantissimo: durante il lockdown, molte scuole non hanno potuto fare lezioni on line per la mancanza di connessioni decenti. Open Fiber, nata da una intuizione di Matteo Renzi e dell'ex presidente di Cdp Franco Bassanini con il sostegno di Starace (Enel è azionista al 50% di Open Fiber con Cdp), avrebbe dovuto spingere l'acceleratore sugli investimenti di Tim. Open Fiber non è però mai stata in grado di crescere abbastanza da diventare un vero concorrente. E poiché le gare pubbliche finanziate dall'Europa sono sempre in ritardo, cerca di fare utili nei territori dell'operatore dominante.
marianna madia all'abbazia di contigliano
Ecco perché da anni i governi tentano di realizzare una fusione sulla carta impossibile. Se rete unica deve essere, Tim deve rinunciare al controllo della rete, a metà dei dipendenti, e trovare qualcuno disposto a caricarsi 20 e più miliardi di debiti: a farlo non può che essere lo Stato. Palermo - la cui Cdp è già azionista di controllo delle reti del gas e della luce - ha in testa un compromesso che prevede la creazione di una società terza nella quale Tim resterebbe azionista di maggioranza, ma nella quale Cdp (a sua volta già azionista al 10% di Tim) dovrebbe avere una quota rilevante. Due gli ostacoli da superare.
Il primo - e lo si intuisce dall'attacco di Grillo - è Starace. Benché la fusione sia l'unica prospettiva possibile, il capo di Enel vuol vendere al miglior prezzo una società che vale comunque più di quel che gli costò l'acquisizione dell'allora Metroweb. Oggi ha in tasca un'offerta degli australiani di Macquarie, che potrebbe diventare il terzo azionista della nuova società. Il secondo ostacolo è Vincent Bolloré, colui che oggi ha la maggioranza relativa di Tim. Gli obiettivi di Starace e Bolloré non sono nemmeno convergenti: il primo - in quanto manager di un'azienda controllata dallo Stato - non può che tifare per un soggetto effettivamente terzo rispetto a Tim e aperto ai concorrenti. L'altro vorrebbe approfittarne e mantenere il sostanziale controllo della rete.
Le tre richieste di Grillo sono guarda caso molto precise: avere ad Open Fiber qualcuno «che lavori alla fusione», proporre a Bolloré di vendere le sue quote, far salire Cdp in Tim fino al 25%, la quota dei francesi. Qui le idee di Grillo e del governo divergono, o meglio divergono dal ministro del Tesoro Roberto Gualtieri, contrario a far salire Cassa nel capitale di Tim ad una quota oltre la quale sarebbe tenuta a prenderne il controllo con offerta pubblica. I toni del comico sono perentori: «Per questo progetto Palermo è pronto a spiegarne i dettagli?».