Fabrizio Goria per “La Stampa”
Salari fermi, croce dei lavoratori, ma redditività elevata, delizia per le imprese. Il mercato del lavoro italiano, sotto pressione da decenni, oggi deve cambiare rotta. Anche perché a risentirne è l'attrattività del Paese.
Uno dei rapporti più discussi del forum The European House-Ambrosetti di Cernobbio è stato quello sui lacci e lacciuoli dell'economia italiana. Distorsioni e squilibri sono tali da disincentivare l'entrata dei giovani sul mondo del lavoro domestico. Meglio l'estero, nella maggior parte dei casi.
La prima evidenza del report lascia l'amaro in bocca. «I bassi salari in Italia non sono giustificati da una minor profittabilità delle imprese», fa notare il Global Attractiveness Index targato 2022. Da un lato, «il valore aggiunto medio per dipendente è in Italia pari a 69,2 mila euro, un valore allineato ai Paesi Ocse (in Spagna è pari a 52,2 mila euro, in Germania è pari a 66,2 mila euro e in Francia è pari a 71,1 mila euro) e alla media dei Paesi Ue (60,7 mila euro)». Ma dall'altro lato, «la remunerazione del capitale nelle imprese italiane è più alta rispetto al campione di riferimento».
In Italia il rapporto tra risultato lordo di gestione e valore aggiunto lordo, un indicatore che cattura la remunerazione del capitale nelle imprese, è pari a 42,1%, una quota superiore alla media europea dello 0,5%, dello +1,1% rispetto alla Spagna, +3,2% rispetto alla Germania e +7,8% rispetto alla Francia.
Ne deriva che nel nostro Paese «le imprese spendono meno per la remunerazione del lavoro rispetto ai principali concorrenti internazionali». Nel 2019 «la quota parte dei costi di produzione delle imprese destinata agli stipendi dei propri dipendenti nelle imprese italiane si attesta a 18,6%, una quota minore del 6,3% inferiore rispetto alle imprese spagnole, del 7,1% alle imprese tedesche e di 8,2% rispetto a quelle francesi».
Seconda evidenza? Gli stipendi, in Italia, sono inferiori rispetto alla media del resto dei Paesi Ocse. Nello specifico, «a parità di potere di acquisto, i salari italiani risultano equiparabili solo a quelli spagnoli, mentre risultano inferiori, tra gli altri confronti, di 8.181 euro rispetto a quelli francesi, di 15.226 euro rispetto a quelli tedeschi e pari al 55,4% rispetto a quelli degli Stati Uniti».
E a domanda precisa, Peter Bofinger, membro del Consiglio degli esperti della Cancelleria tedesca risponde: «Con questa inflazione nell'eurozona tutto è più difficile». Questo perché «c'è il rischio che i lavoratori comprendano che gli attuali squilibri possano rendere l'inflazione strutturale. Questo è un problema da risolvere».
E rilancia: «Se hai un aumento del salario nominale del 6%, i lavoratori possono essere felici se di fronte hanno fiammate dei prezzi così elevate». Parole condivise dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando, che durante un incontro a margine del forum di Villa d'Este, ha sottolineato che «occorre lavorare sui salari, e in particolare sui salari minimi».
Già, perché la terza evidenza del rapporto è quella più controversa. La dinamica dei salari in Italia è rimasta bloccata negli ultimi 30 anni, segnalando un mancato sviluppo reale del Paese in termini di potere d'acquisto dei lavoratori. La crescita reale dei salari nel trentennio è in Italia pari al 3,4%, posizionando l'Italia penultima tra i Paesi Ocse e prima solo del Messico. La crescita dei salari in Italia, tra gli altri confronti, è stata pari alla metà della crescita registrata in Spagna, un decimo rispetto a quella tedesca e un undicesimo rispetto a quella francese e alla media Ocse.
Alla luce di inflazione persistente e crisi energetica, agire sulla riduzione delle diseguaglianze salariali, come rammentato dal Fondo monetario internazionale in tempi non sospetti, è prioritario. Anche, sottolinea lo studio, nel rapporto tra impresa e lavoratore.
i leader a confronto a cernobbio daniele franco a cernobbio 3 daniele franco a cernobbio 1 daniele franco a cernobbio 2 TAJANI SALVINI MELONI LETTA CALENDA A CERNOBBIO