di Raffaele Ricciardi per la Repubblica
Inizia la settimana decisiva in vista del referendum costituzionale italiano e i listini europei trattano deboli: Londra segna un calo dello 0,9%, come Parigi, mentre Francoforte arretra dell'1%. La peggiore è però Milano, che lascia sul parterre l'1,8% sotto il peso delle banche. Monte dei Paschi resta osservata speciale di Piazza Affari: la Consob ha dato il via libera al riacquisto dei bond subordinati, con la conversione in azioni, e il titolo è il più venduto del listino principale. Segno ampiamente negativo anche per altri big del settore come Unicredit e Banco Popolare.
Anche il Financial Times ha puntato il dito contro la debolezza delle banche italiane, nell'ipotesi di una vittoria del "no" e di una crisi di governo. In un report mattutino, gli analisti di Barclays analizzano gli scenari possibili dopo il voto: quattro ipotesi, due per il sì (con alta o bassa affluenza) e due per il no (sempre con alta o bassa partecipazione degli elettori).
Parlando delle reazioni dei mercati, dalla banca britannica evidenziano che una sconfitta della linea di Matteo Renzi potrebbe far allargare lo spread (con intensità diversa a seconda delle proporzioni della vittoria del "no" e del numero di votanti); la variabile dirimente sarebbe però la Bce, chiamata il giovedì successivo ad estendere il Quantitative easing. Con l'ombrello di Mario Draghi rafforzato, sul fronte dei titoli di Stato non si vedono shock insormontabili in arrivo: basterebbero toni da "colomba" all'Eurotower per rimettere il differenziale di rendimento in binari accettabili.
Proprio lo spread tra Btp e Bund apre oggi stabile in area 185 punti, con un rendimento del 2,07%. Oggi il Tesoro offre in asta Bot a 6 mesi per 6 miliardi di euro, mentre dall'Istat arrivano i dati sulla fiducia di imprese e consumatori e dall'Ocse l'aggiornamento delle stime economiche. Lo stesso Draghi relaziona oggi al Parlamento europeo.
Gli investitori internazionali sono preoccupati dal fatto che le intenzioni di tagli alla produzione di petrolio - annunciate dall'Opec nell'incontro di Algeri - si concludano con un nulla di fatto: è il timore espresso anche dall'Arabia Saudita in vista del vertice di Vienna del 30 novembre. Il principale estrattore del cartello ha diserterà l'incontro con la Russia e gli altri Peasi produttori, in agenda oggi, perché chiede che prima ci sia una posizione chiara e univoca all'interno dell'Opec, per poi aprire il dialogo con i Paesi non partecipanti all'Organizzazione. Intanto, dopo il crollo di venerdì, i contratti sul greggio Wti con scadenza a gennaio perdono quota sotto 46 dollari al barile, mentre il Brent oscilla poco sopra 47 dollari.
L'euro risale sul dollaro e, alle prime mosse della giornata sui mercati valutari, passa di mano a 1,0657 sulla valuta americana dopo aver chiuso venerdì scorso sfiorando quota 1,06. Si arresta il calo dello yen che recupera sull'euro e passa di mano a 119,31. Gli investitori sembrano intenzionati a prendersi una pausa dal Trump-rally che ha caratterizzato le ultime sedute: per qualcuno il dollaro è stato addirittura "sovra-acquistato" negli ultimi tempi.
Le Borse cinesi hanno chiuso la seduta contrastate, mentre lo yuan si è indebolito ancora sul dollaro con la Banca centrale cinese che ha fissato la parità centrale a quota 6,9042, 126 punti base in meno rispetto a venerdì, sempre intorno ai minimi degli ultimi 8 anni e mezzo: Shanghai ha guadagnato lo 0,46%, Shenzhen ha ceduto nel finale lo 0,14%. La Borsa di Tokyo ha terminto invece gli scambi con un lieve ribasso, interrompendo la serie positiva di 7 sedute consecutive, dopo l'apprezzamento dello yen: il Nikkei ha segnato un ribasso dello 0,13%.
Detto del petrolio, tra le materie prime sale per il secondo giorno consecutivo il prezzo dell'oro sui mercati asiatici dopo il tonfo dei giorni scorsi che lo aveva portato ai minimi da nove mesi. Ora il lingotto con consegna immediata recupera l'1,2% e passa di mano a 1.192 dollari l'oncia.