GIOVANNI PONS per la Repubblica
Dopo tanti anni di discussioni teoriche ora la strada verso la separazione della rete di Tim dalla sua attività commerciale sembra aver imboccato una strada condivisa, anche se gli ostacoli sul suo cammino sono ancora molti.
La differenza rispetto al passato è che sarà la Cassa Depositi e Prestiti, azionista al 10% di Telecom, a spingere per fare in fretta questa operazione. Il suo obiettivo finale, come anche quello del Mef (suo principale azionista all'85%), è quello di realizzare una rete unica a banda larga diffusa e indipendente al servizio del paese.
Obiettivo che mal si concilia con quello di un fondo infrastrutturale di private equity, come lo sono Kkr o Cvc, che puntano a una generosa remunerazione del capitale per i propri azionisti in un certo numero di anni. Per questo la Cassa cercherà di guidare lei stessa le operazioni, senza cedere il pallino ai fondi, o comunque tenendoli a bordo ma seduti sul sedile posteriore. E vedere se con il socio di maggioranza relativa Vivendi (23,9% di Tim) si riesce a ricreare un clima di fiducia per remare nella stessa direzione. Sul percorso si accavallano però questioni tecniche e di tempistica. È possibile fare la scissione in due (o tre) della Tim tenendo le società quotate in Borsa e con la governance attuale?
LA FOTOGRAFIA DI TIM - AZIONISTI E SITUAZIONE FINANZIARIA
La risposta è sì se si vogliono accorciare i tempi e usufruire anche dei soldi del Pnrr per realizzare nuovi investimenti per ammodernare la rete. L'idea di Kkr di lanciare un'Opa, togliere la società dal mercato per poi provvedere a spezzettarla richiede più capitali e più tempo.
Per questo motivo Cdp e Vivendi tenderebbero a escluderla e a realizzare una scissione della società quotata, che alla fine del percorso assegnerà agli azionisti due titoli diversi, una per la Netco (la rete) e uno per la Service (il servizio commerciale); così ogni azionista avrà la facoltà di tenere, vendere, comprare le due azioni a suo piacimento. Il piano che l'attuale direttore generale Pietro Labriola sta mettendo a punto con gli advisor Mediobanca e Vitale è proprio questo, nella sostanza lo stesso piano di Kkr ma senza lanciare un'Opa. Bisognerà decidere quanto debito, del totale di 22 miliardi netti, andrà accollato alla Netco e quanto alla Service, attraverso un prestito ponte erogato dalle banche che permetterà di rimborsare quello esistente e di emettere nuovi bond. E soprattutto come riallocare i 40 mila dipendenti nelle due società separate.
Un esercizio non da poco, ma fattibile se vi è la volontà dei principali soci e del governo. Il secondo passo per la Cdp sarebbe quello di vendere le sue azioni della Service e con il ricavato comprare azioni Netco per poi unirla in matrimonio con Open Fiber, la rete concorrente di cui possiede già il 60%. In questo modo salirebbe nella rete unica fino al 25-30% garantendo la neutralità per tutti gli operatori.
Non essendo più un operatore verticalmente integrato dovrebbe ottenere il via libera dell'antitrust Ue. Le tappe più vicine prevedono che martedì 18 Labriola presenti informalmente le linee guida del piano ai consiglieri Tim; se ci sarà consenso il cda del 21 gennaio potrebbe incoronarlo ad. Poi il 26 il piano verrà presentato al cda e ai primi di marzo al mercato. Se il titolo Tim in Borsa resterà sugli attuali livelli (0,45 euro) o, anzi, crescerà ulteriormente, vorrà dire che la scissione di Tim è ben accolta dal mercato e avrà probabilità di essere approvata in assemblea straordinaria, dove Cdp e Vivendi possono contare su un 35% del capitale. Se invece il titolo scenderà allontanandosi dal valore di 0,505 euro stabilito da Kkr nella sua manifestazione di interesse allora si tornerà a guardare ai fondi.
mario draghi giovanni gorno tempini e dario scannapieco foto di bacco 2