1 - MPS: IN BORSA VERSO AVVIO IN CALO DOPO STOP CON UNICREDIT
(ANSA) - Mps verso un avvio in Borsa in calo dopo lo stop del negoziato tra Unicredit e il Tesoro. La banca senese in preapertura segna un calo teorico del 2% e Unicredit dello 0,7%.
2 - STOP AI NEGOZIATI COL TESORO SALTA LA VENDITA DI MPS PARTE LA CACCIA A 2,5 MILIARDI
Cinzia Meoni per “il Giornale”
Unicredit e il Tesoro ufficializzano il divorzio su Monte Paschi a ridosso dell'apertura di una nuova settimana borsistica. E da questa mattina la parola torna a Piazza Affari: da un lato per Mps stringono i tempi per provvedere al rafforzamento di capitale (almeno i 2,5 miliardi previsti dal piano stand alone, su cui l'Europa deve deliberare, anche se non mancano stime più elevate), dall'altro Unicredit rischia di rimanere «zitella», in un momento in cui le banche italiane accelerano nel consolidamento.
Dopo l'escalation di indiscrezioni nel corso della giornata di sabato, ieri pomeriggio il gruppo di Piazza Gae Aulenti e il Mef (che di Rocca Salimbeni ha il 64% del capitale) hanno comunicato, in uno stringatissimo comunicato stampa congiunto, il naufragio o meglio «l'interruzione dei negoziati relativi alla potenziale acquisizione di un perimetro definito di Mps», sottolineando che la rottura è avvenuta «nonostante l'impegno profuso da entrambe le parti». A parole nessuno strappo definitivo.
La trattativa si sarebbe scontrata sulle divergenti valutazioni degli asset e sulla definizione del perimetro della banca senese oggetto dell'operazione e, di conseguenza, su dote ed esuberi da riconoscersi a Unicredit per sobbarcarsi la travagliata banca senese. Andrea Orcel, ad dell'istituto di Piazza Gae Aulenti, era stato chiaro che avrebbe rilevato solo gli asset di suo interesse e che assicurassero la «neutralità di capitale» e la crescita del 10% dell'utile per azione.
E, terminata la due diligence, il conto finale per lo Stato pare si fosse assestato a non meno sette miliardi di euro. Troppo per Palazzo Chigi che, in assenza di una soluzione di compromesso, ha quindi deciso di passare oltre. «Tre quarti del governo era contro l'operazione. C'era un problema di sovraesposizione in alcune zone d'Italia», ha dichiarato Lando Maria Sileoni, leader della Fabi: «Non permetteremo nessun licenziamento».
Ma, senza interlocutori alternativi in grado di portare a termine una integrazione di Rocca Salimbeni (del Fondo Apollo, il primo ad aver chiesto l'accesso al data room di Mps si sono perse le tracce), per il Tesoro il tempo stringe. Salvo proroga da parte della Commissione Europea, che finora non è stata chiesta, entro fine anno il Mef dovrà definire l'uscita da Siena e prevedere una iniezione di capitale in accordo con Francoforte e Bruxelles.
«Riteniamo che debba essere risolto il nodo cruciale della ricapitalizzazione e, attraverso la proroga dei termini concordati con la Ue per l'uscita dello Stato dal capitale della banca, ricercate altre possibili soluzioni, hanno sottolineato i vertici di Fisac-Cgil.
Il risultato è tutt' altro che scontato per la banca più antica del mondo su cui nel frattempo Roma potrebbe iniziare a programmare interventi mirati (come, d'esempio, la cessione dei crediti incagliati ad Amco e degli sportelli del centro-sud a Mcc) per alleggerire l'inevitabile iniezione di capitale. Sul mercato intanto serpeggia il timore che, ancora una volta, e salvo colpi di scena, si assista a un rush finale di fine anno per mettere in sicurezza Mps.
Quanto a Unicredit potrebbero tornare attuali le nozze con Banco Bpm, una soluzione forse meno complessa ma anche più dispendiosa rispetto a Rocca Salimbeni tanto più che sulla banca guidata da Giuseppe Castagna qualche mese fa aveva messo gli occhi Carlo Cimbri, patron di Unipol a cui fa capo la maggioranza relativa di Bper. Non manca chi, infine, tra i broker ha ipotizzato persino un matrimonio di interesse con Mediobanca da cui piazza Gae Aulenti è uscita due anni fa.
3 - MPS, IL TESORO AVANTI DA SOLO MA CI VUOLE L'OK DI BRUXELLES
Rosario Dimito per “il Messaggero”
Ora è ufficiale: dopo le indiscrezioni degli ultimi giorni, in vista della riapertura dei mercati questa mattina, con una nota congiunta Unicredit e Via XX Settembre ieri sera si sono dati reciprocamente atto di avercela messa tutta nel formalizzare il fallimento delle trattative partite il 29 luglio con la lettera di intenti finalizzate alla fusione parziale con Mps, secondo gli impegni assunti con l'Europa nel 2017.
LA ROTTA
Per Siena, in assenza di alternative industriali (fonti di Banco Bpm hanno ribadito di non avere interesse e di non essere stati contattati di recente avendo come priorità il nuovo Piano industriale del 5 novembre), l'unica strada percorribile è l'avvio di un secondo piano di ristrutturazione da negoziare con la Dg Comp a Bruxelles mediante un'altra ricapitalizzazione precauzionale di 2,5-3 miliardi per tenere conto anche dell'esito dello stress test di luglio che ha classificato l'istituto come il peggiore d'Europa (Cet 1 negativo dell'1%).
IL DIALOGO
In verità, con l'Europa i contatti sono in corso da un paio di settimane e, nonostante la recente smentita, dalla direzione di Via XX Settembre sarebbe stata avanzata la richiesta di una proroga rispetto alla scadenza del bilancio 2021 per trovare il nuovo azionista. Lo slittamento potrebbe essere di 2-3 anni, il tempo necessario per attuare le nuove misure compensative che l'Europa potrebbe imporre per tagliare ancora i costi e far dimagrire gli attivi.
La nuova ristrutturazione a carico dello Stato, come la prima, presuppone i vincoli della condivisione dei rischi secondo il bunder sharing, per cui gli 1,8 miliardi di bond Tier2 in circolazione verrebbero trasformati in equity, come avvenuto quattro anni fa con 1,5 miliardi di prestiti obbligazionari divenuti capitale al fianco dei 5,4 miliardi versati dal Mef.
LA COMMISSIONE
In più la previsione è che la nuova cura da cavallo dettata dagli uffici di Margrethe Vestager comporterebbe una svolta manageriale per assicurare la discontinuità - che è la parola d'ordine in queste situazioni - e il dimagrimento rassomiglierebbe al perimetro ritagliato da Orcel relativo al 65 per cento dell'attuale attivo: network commerciale, esclusi Mps Capital services, factoring, leasing, Consorzio operativo, 300 filiali di cui 120 trattate da Mcc, 7 mila dipendenti. In più il banchiere di Unicredit aveva tagliato fuori 4 miliardi di Npl - che avrebbero potuto essere acquistati da Amco - oltre a rischi e contenziosi legali per circa 6,2 miliardi.
LE SCELTE
A proposito di perimetri al centro delle trattative, fino all'ultimo da parte di Unicredit si sarebbe tentato di salvare capra e cavoli: da una parte tenere fede alla condizione iniziale di completare un'operazione con impatto neutro sul capitale del gruppo pro-forma e che creasse accrescimento dell'utile per azione, dall'altra di non aprire l'incertezza sul futuro del gruppo senese.
Di fronte alle nuove richieste giunte dal Tesoro sabato 16 di riconsiderare l'acquisto dell'intero gruppo Mps, al netto di filiali e passività, Orcel non avrebbe respinto tour court la proposta ma, sempre per garantire impatto zero sul capitale di Unicredit, avrebbe rilanciato la richiesta di 9,2 miliardi di aumento di capitale invece dei 7 miliardi necessari per il perimetro ristretto.
Anche questa nuova opzione è stata però respinta dal Tesoro perché considerata oltremodo onerosa. Per Unicredit il futuro è affidato al nuovo piano industriale che verrà presentato al mercato entro primi di dicembre, fondato sulla digitalizzazione del gruppo.
L'IPOTESI BANCO BPM
IL MINISTRO DEL TESORO DANIELE FRANCO
C'è sempre chi ipotizza un blitz su Banco Bpm che è sempre stato il pallino di Orcel. Ieri il banchiere era all'estero e a un paio di investitori istituzionali con i quali ha commentato la rottura su Mps, avrebbe confidato che Banco Bpm resta il target ideale per aumentare la quota di mercato in Italia; ma alla capitalizzazione attuale (4,4 miliardi) ai quali aggiungere un premio, il deal non assicurerebbe un ritorno del capitale investito. Per ora quindi Unicredit riprende la navigazione ordinaria rinviando mosse strategiche al 2022. Di sicuro il mancato acquisto di Mps mantiene congelato il risiko bancario in Italia e potrebbe allungare i tempi anche per la sistemazione di Banca Carige.