SPARALA GROSSA - IL GOVERNO VALUTA BANKITALIA 7,5 MLD, PER LA GIOIA DI INTESA E UNICREDIT - MA DOVE E’ SPARITA LA TASSA CHE GLI ISTITUTI DI CREDITO DEVONO PAGARE?

È giallo sull’imposta che dovrebbe essere applicate alle rivalutazioni iscritte in bilancio alle banche e che avrebbe dovuto garantire un gettito per lo Stato da circa un miliardo di euro. Dal testo è sparito il 12% scritto nelle bozze più recenti, che aveva preso il posto del 16% ipotizzato in precedenza…

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Tonia Mastrobuoni per "la Stampa"

Ignazio ViscoIgnazio Visco

Rispetto alla forbice indicata dagli esperti, il governo ha scelto la cifra più alta: la Banca d'Italia vale dunque 7,5 miliardi di euro, stando al decreto approvato mercoledì dal consiglio dei ministri e pubblicato ieri in Gazzetta ufficiale.
Dopo l'aumento di capitale dagli attuali 156mila euro per raggiungere quella quota, via Nazionale sarà rappresentata «da quote nominative di partecipazione di 20mila euro ciascuna», recita il testo. Ed è invece confermata la cifra della vigilia sui dividendi: «ai partecipanti possono essere distribuiti esclusivamente dividendi annuali, a valere sugli utili netti, per un importo non superiore al 6 per cento del capitale». Una cofra che garantirebbe alle banche un gettone da circa 450 milioni di euro.

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È confermata anche la natura di public company, cioè di istituto ad azionariato diffuso, che la Banca d'Italia dovrà avere a regime. Certo, non tutti potranno possederne le quote, nessun piccolo risparmiatore potrà accedere alle partecipazioni di via Nazionale: solo banche, assicurazioni, sia italiane sia straniere, inoltre anche fondazioni, enti previdenziali e assicurativi, e fondi pensione con soggettività giuridica potranno essere detentori di pezzi dell'isitituto di Palazzo Koch.

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Ma rispetto alle quote attuali, la riforma riequilibra enormemente il quadro: le sole Banca Intesa e Unicredit posseggono attualmente il 64,6%. Il decreto stabilisce invece che nessuno potrà possedere più del 5% di via Nazionale, in futuro.
Il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, ha parlato di un processo al termine del quale «nessuno ha il controllo» della Banca d'Italia. Dopo l'aumento di capitale a 7,5 miliardi, le banche con quote eccessive rispetto al limite del 5% avranno due anni di tempo per liberarsene. In questo lasso di tempo gli istituti non avranno il diritto di voto ma potranno comunque percepire i dividendi.

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È giallo, invece, sull'imposta che dovrebbe essere applicate alle rivalutazioni iscritte in bilancio alle banche e che avrebbe dovuto garantire un gettito per lo Stato da circa un miliardo di euro. Dal testo è sparito il 12% scritto nelle bozze più recenti, contro il 16% ipotizzato in precedenza.

Le norme prevederebbero, quindi, un tetto al possesso fissato al 5% del capitale e una lista di soggetti che possono detenere tali quote individuati in banche e assicurazioni con sede in Italia o nell'Ue, fondazioni bancarie, enti, istituti di previdenza e fondi pensione italiani.

FEDERICO GHIZZONI E GIUSEPPE VITAFEDERICO GHIZZONI E GIUSEPPE VITA

Infine, il decreto ribadisce che nell'esercizio dei suoi poteri e nella gestione delle sue finanze, la Banca d'Italia, che ha tra le altre la funzione di organismo di vigilanza sulle banche, «è indipendente».

 

 

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