Carlo Bonini e Giuliano Foschini per “la Repubblica”
C' è un convitato di pietra nel crac della Banca popolare di Bari: la Banca d' Italia e la sua vigilanza. Era agevole comprenderlo già due mesi fa, nel momento cruciale del commissariamento. Ora è un' evidenza documentale. Negli atti dell' inchiesta a sostegno delle misure cautelari che venerdì hanno privato della libertà Marco e Gianluca Jacobini (ex presidente ed ex condirettore della banca), Elia Circelli (responsabile della funzione bilancio) e interdetto Vincenzo Figarola De Bustis, il Procuratore aggiunto Roberto Rossi e i sostituti Federico Perrone Capano e Savina Toscani dismettono ogni diplomazia.
MARCO JACOBINI CON IL FIGLIO GIANLUCA
Il crac della Banca popolare di Bari - scrivono - è figlio del «conflitto di interessi» in cui Palazzo Koch venne a trovarsi quando, tra il 2013 e il 2014, si trovò contestualmente a essere dominus dell' operazione di salvataggio e acquisizione di Banca Tercas e della decisione di liberare la Popolare di Bari, che di Tercas sarebbe stata l' acquirente, dai vincoli che le erano stati imposti per quella che già allora era risultata una governance opaca.
Conflitto di interesse, dunque. Parole chiare che spiegano anche il perché la Procura di Bari abbia aperto un secondo fascicolo istruttorio intestato alle mosse di Palazzo Koch (ma nel quale al momento l' unico indagato per corruzione è Marco Jacobini) e che risponda a quelle che ora diventano le domande chiave di questa storia: quali furono davvero le ragioni che governarono le decisioni di Bankitalia sulla Popolare di Bari? E perché si astenne da decisioni tempestive utili a sottrarre agli Jacobini la governance sciagurata e familista dell' istituto?
Il problema Tercas
Tra l' ottobre del 2013 e il luglio del 2014 - come Repubblica ha raccontato nell' inchiesta pubblicata nel dicembre scorso - Banca d' Italia assume contestualmente due decisioni. Rimuovere i vincoli che impedivano alla Banca popolare di Bari di procedere a nuove acquisizioni e autorizzare la banca all' acquisto della decotta Cassa di risparmio di Teramo (Tercas, appunto). Ebbene, la procura non ha dubbi che la decisione fu presa in «conflitto di interessi ».
«Tercas - spiegano - aveva ricevuto da Banca d' Italia un finanziamento di emergenza pari a 700 milioni di euro, della durata di sei mesi. E il motivo era la situazione di liquidità a rischio in cui la banca si trovava. Peraltro, in un momento in cui avrebbe dovuto provvedere al rimborso dei certificati di deposito alla liquidazione delle obbligazioni in possesso della clientela retail per oltre 130 milioni».
Ebbene, di quel finanziamento Banca d' Italia secondo quanto previsto dalle norme europee sarebbe dovuta rientrare in tempi definiti. Tercas, da sola, non sarebbe mai riuscita a provvedere al rimborso. Era urgente trovare un compratore.
La Procura e Bankitalia Interrogato nel novembre 2017 dal procuratore aggiunto di Bari, Roberto Rossi, l' allora direttore generale di Banca d' Italia, Salvatore Rossi, dà questa spiegazione di quel delicato passaggio: «Quello dei 700 milioni era un finanziamento d' emergenza. Non poteva durare più di un anno. E queste sono regole europee, non italiane. Normalmente è un tempo corto, quindi va prorogato ogni volta. E infatti noi abbiamo molti provvedimenti di proroga di questi finanziamenti di emergenza che si chiamano Ela.
CARMELO BARBAGALLO IGNAZIO VISCO
Finché non si affaccia nella crisi la Popolare di Bari che dice: "Con i miei soldi faccio un finanziamento a Tercas in modo che Tercas possa rimborsare questo prestito di emergenza che sta per scadere"». È una ricostruzione che vede Banca d' Italia arbitro passivo.
Per la Procura, però, è il contrario. «A differenza di quanto lasciato intendere dal dottor Salvatore Rossi - scrivono i magistrati - non fu la Banca popolare di Bari a proporsi autonomamente per il salvataggio di Tercas. Al contrario, come risulta dai verbali del consiglio di amministrazione della stessa Popolare di Bari, fu la Banca d' Italia a interessarla nonostante l' istituto fosse in quel momento soggetto a un' ispezione di cui non aveva ancora conosciuto l' esito». Dunque? Dunque, proseguono i pm, «si ritiene plausibile che Banca d' Italia abbia avuto un conflitto di interessi nel rimuovere il vincolo alle acquisizioni imposte alla Popolare di Bari e nell' autorizzarla dopo poco tempo all' acquisizione di Tercas».
L' amico Barbagallo Nella ricostruzione della Procura, l' uomo che a Palazzo Koch incarna il conflitto di interesse con la Popolare di Bari è l' allora capo della Vigilanza, Carmelo Barbagallo, non indagato, e ora in Vaticano a guidare l' Aif, l' Autorità di informazione finanziaria per la lotta al riciclaggio.
La Procura ne è convinta. E lo è non solo per la particolare confidenza che gli Jacobini dimostrano di avere con quel dirigente di Bankitalia (Marco lo incontra a Roma e riceve in anteprima l' esito di un' ispezione.
Gianluca gli parla direttamente al telefono per spiegare le sue ragioni). Non solo per la cortesia che Barbagallo ritiene di dover avere verso il consiglio di amministrazione della Popolare il 23 ottobre 2013 illustrando di persona gli esiti di un rapporto ispettivo (lo stesso in cui la banca deciderà di dare il via libera all' acquisizione di Tercas).
Ma anche per una singolare telefonata del marzo del 2017. Marco Jacobini conversa con un interlocutore, P.L,. che «gli deve dare una buona notizia». Questa: «Vabbè., volevo dirti che io cerco sempre il contatto con Banca Italia (...) Ieri ho avuto una telefonata, sapevo che veniva Suardo a Bari (Lanfranco Suardo era allora capo del servizio supervisione bancaria 2 di Banca d' Italia ed è stato recentemente promosso a capo della supervisione bancaria 1, ndr), capito? (...) Ieri mi ha fatto una telefonata e io gli ho detto: "Che impressione hai avuto?". E lui mi dice: "Devo dirti la verità, io ho avuto una buona impressione"». La buona impressione, come si capisce dal resto della conversazione, ha a che vedere con Marco Jacobini e con il management della banca. Di più: «Mi ha detto, "Ho visto che Marco Jacobini è una persona che dà affidamento e che ha avuto una buona impressione dell' azienda"».
Marco Jacobini non pare sorpreso. Anche lui sembrerebbe avere grande confidenza sia con Suardo che con il suo capo, Carmelo Barbagallo. Spiega di aver parlato al telefono con il capo della vigilanza e che la considerazione che ha Palazzo Koch in quel momento dei manager della banca è eccellente. «Mi ha detto cose eccezionali», racconta al suo interlocutore. Aggiungendo: «Mi ha anche detto "Statti li", finché la situazione della banca lo richiede. "Non ti preoccupare proprio».
Gli Jacobini lo presero in parola. Sì, «stettero lì». Fino al crac.