Camilla Conti per il “Fatto quotidiano”
Dalla prossima settimana non ci sarà più il logo Fiat davanti al Lingotto, dove il gruppo da domenica non avrà più il suo quartiere generale. Da lunedì la residenza fiscale della società che si chiamerà Fca sarà a Londra, in Saint James Street.
Un addio storico per la Fabbrica Italiana Automobili Torino che è nata proprio all’ombra della Mole l’11 luglio dell’ormai lontano 1899. Pare che a suggerire l’acronimo Fiat fosse stato al tempo da Cesare Goria-Gatti, il fondatore dell'Automobile Club d'Italia, che dalle colonne del giornale L'Automobile, sottolineava il benaugurante significato latino (terza persona singolare nel verbo fio = sono fatto, divengo) per il futuro dell’azienda.
La Fiat iniziò la costruzione del famoso stabilimento produttivo denominato Lingotto nel 1916 e lo fece entrare in funzione nel 1923. Oggi c’è un nuovo gruppo chiamato Fiat Chrysler Automobiles (Fca) con sede legale in Olanda e residenza fiscale nel Regno Unito. “L’uso di un acronimo aiuta a stemperare i legami col passato, senza reciderne le radici e al tempo stesso contribuisce a definire l’approccio globale del gruppo. Facile da comprendere, pronunciare e ricordare, è un nome adatto all’internazionalità del mercato contemporaneo”, recitava il comunicato stampa che nel gennaio scorso accompagnava la presentazione del nuovo marchio.
SERGIO MARCHIONNE VERSIONE 'BARBUDO'
Un trauma per Torino e i torinesi? “Non si tratta di un trauma perché la metamorfosi è già avvenuta, siamo alla fine di un lungo addio”, risponde Giuseppe Berta, docente alla Bocconi di Milano, storico dell'industria, nonché autore di diversi saggi proprio sulla trasformazione del gruppo automobilistico.
“Non va via solo la Fiat, è il sistema italiano della grande impresa che non c’è più. Abbiamo troppo poche aziende di dimensioni medio grandi, intendo dal miliardo e mezzo ai tre miliardi di fatturato perché non c’è una piattaforma che le valorizzi e che consenta loro di fare massa critica”. Certo, a Torino rimane il museo dell’Automobile, perché aggiunge Berta, “la storia nessuno ce la può portare via”. Di lungo addio parla anche lo storico e sociologo torinese Marco Revelli.
john elkann e sergio marchionne consegnano la lancia thema presidenziale a giorgio napolitano
“Un addio che dura da anni ma che è sempre stato negato ogni volta che un pezzo di Fiat veniva smontato. Ma la vera amputazione credo ci sia stata quando è scomparsa la grande scritta dalla palazzina di Mirafiori. E con essa se ne è andato via un pezzettino di anima di questa città. Restano invece qui a Torino i 5mila lavoratori appesi al destino del polo dell’auto di lusso coi suv della Maserati annunciato da Marchionne, un piccolo esercito di persone impoverite da anni di cassa integrazione“.
C’è poi Diego Novelli che non riconosce più la sua Torino, quella che lo vide sindaco del Pci dal 1975 al 1985 e che oggi vede cancellare loghi e operai. Non si tratta di nostalgia, ma di “valore positivo della memoria”, dice al Fatto.
“PER DECENNI la Fiat in questa città ha significato tutto, voleva dire lavoro, significava poter contare sulla Malf, la mutua aziendale dei lavoratori, sulle colonie estive per i figli, e anche sui cinema visto che la Fiat aveva pure alcune sale sparse in città. La Fiat era Torino. Tanto che le stesse istituzioni locali erano piegate al volere dell’azienda. In molti dimenticano che Mirafiori venne costruita nel ’37, e poi inaugurata due anni dopo, con il benestare dell’allora podestà sebbene sorgesse a ridosso di un sanatorio per tubercolotici.
Oggi la Fiat non c’è più ma i torinesi non sono sconvolti perché sparisce il logo dal Lingotto, come del resto non si sa più niente del logo Fabbrica Italia, che doveva essere il grande progetto di rilancio dell’auto nel nostro Paese. Chi l’ha più visto?”, si chiede Novelli. Che, come molti suoi concittadini, non si preoccupa per un marchio che se ne va ma per i cassintegrati che restano.